Da “Il Fiat Standard - La schiavitù del debito come alternativa alla civilizzazione umana”, di Saifedean Ammous, 2021, pag.39 - 44
Solo una piccola percentuale della valuta di un paese esiste sottoforma di contante fisico; la maggior parte prende vita in forma digitale ogni qualvolta un’istituzione finanziaria garantita dalla Banca centrale concede un prestito.
Non è quindi la stampa di banconote a creare nuovo denaro quanto piuttosto l’emissione di nuovo debito.
La stampa di banconote non fa altro che trasformare una parte della massa monetaria già esistente dalla forma digitale a quella fisica.
Chiunque trovi il modo di fare indebitare altri soggetti, siano essi fisici o giuridici, trae profitto non solo da un tasso di interesse positivo applicato al prestito, ma anche dalla creazione di nuovo denaro.
Far indebitare gli altri è l’equivalente, in termini Fiat, di spingere le persone a cercare oro.
Le pietre Rai erano usate come moneta in Micronesia fino a quando il capitano O’Keefe non fece uso di una tecnologia per produrne di nuove.
Il ruolo monetario delle conchiglie è stato distrutto quando la moderna nautica industriale ne ha gonfiato l’offerta.
I minatori di rame, argento e oro cercano costantemente di aumentarne l’offerta, ma solo il metallo giallo gode di un scarsità tale da impedirne una crescita troppo rapida.
I minatori di Bitcoin cercano a livello individuale di estrarre la maggior quantità possibile di Bitcoin, ma i loro sforzi complessivi sono limitati dall’aggiustamento della difficoltà e da una rete di migliaia di nodi in tutto il mondo che applicano rigorosamente i parametri di consenso definiti da Satoshi Nakamoto .
Al contrario, politici e banchieri trovano diligentemente sempre nuove scuse per espandere il credito e trasformarlo in denaro.
Le varie tutele politiche, costituzionali e intellettuali contro l’inflazione sono riuscite solo in maniera sporadica, temporanea e inaffidabile a controllare la creazione di debito sottoscritto dalle banche centrali.
Nel sistema Fiat il freno più efficace contro la crescita incontrollabile del credito è sempre stata l’inevitabile recessione deflazionistica in cui presto o tardi si conclude il ciclo economico con un concomitante crollo della massa monetaria.
Poiché la concessione di un nuovo prestito equivale di fatto alla produzione di nuovo denaro Fiat, gli incentivi economici a erogare credito sono sempre molto forti.
Le istituzioni finanziarie traggono profitto dalla creazione di nuova moneta, motivo per cui la licenza bancaria è molto ambita.
Anche politici e burocrati sono fortemente incentivati a incoraggiare l’indebitamento, che è di stimolo per maggiori consumi e investimenti.
Secondo il semplicistico modello economico keynesiano, dominante anche ai più alti livelli della politica e del mondo accademico, l’aumento di consumi e investimenti nel breve periodo è sempre la miglior soluzione a qualsiasi problema economico.
Il boom economico di breve termine stimolato dall’espansione del credito è tutto ciò che interessa ad un politico; le eventuali conseguenze negative di lungo termine, infatti, costituiranno un problema per i suoi successori, o verranno imputate a comodi capri espiatori.
Nel 1912 Ludwig von Mises pubblicò “La teoria della moneta e del credito“, un testo di economia fondamentale.
Possiamo ritrovarne la conclusione centrale nella seguente frase: “L’espansione del credito non può sostituire il capitale“.
Dal 1912 il fiat standard ha fornito agli economisti lezioni oggettive a sostegno della tesi di Mises.
Il capitale consiste di beni economici utilizzati per produrne altri.
Il denaro può essere offerto in cambio di beni capitali, ma non può sostituirli o integrarli.
Lo stock di capitale esistente in una società in un dato momento può essere aumentato solo rinviando il consumo delle risorse esistenti.
Non può essere aumentato producendo più crediti a valere su di esse.
Invece di raccogliere il capitale dei risparmiatori e prestarlo, il sistema bancario Fiat crea nuovi crediti sul capitale esistente e li distribuisce ai mutuatari.
In tal modo gli incentivi al risparmio vengono ridotti senza che, allo stesso tempo, si generi una reale scarsità di capitale, specialmente per chi ha le giuste connessioni politiche.
Un siffatto sistema bancario non avrebbe lunga vita nel libero mercato; tuttavia esso sopravvive grazie alle protezioni governative.
L’espansione artificiale del credito ha l’unico effetto di distorcere negli imprenditori la percezione della ricchezza realmente disponibile.
La facilità con cui essi riescono a ottenere dei finanziamenti li illude di potersi assicurare i beni capitali di cui hanno bisogno.
Tuttavia, dietro al credito non vi sono risparmi reali, generati da un differimento dei consumi nel tempo.
Gli imprenditori iniziano quindi a rincorrere i prezzi delle risorse, la cui disponibilità non è aumentata di pari passo con l’espansione del credito.
All’intensificarsi della lotta per accaparrarsi le risorse i prezzi salgono, la redditività di tanti progetti svanisce e molti imprenditori non riescono più ad onorare la restituzione del credito ricevuto dalle banche.
Nel Fiat standard la ricchezza della società e il sistema monetario e finanziario sono alla mercè sia della sconsiderata pianificazione monetaria attuata dalla Banca centrale, sia dei sotterfugi di un singolo istituto finanziario.
Una banca che si ritrova ad affrontare una corsa agli sportelli non solo causa danni ai propri clienti, ma anche ad altri istituti di credito e ai loro clienti.
In caso di collasso bancario, anche le imprese perfettamente solvibili e redditizie perderebbero la capacità di operare, in quanto rimarrebbero coinvolte insieme alle loro controparti finanziarie in una generale crisi di liquidità.
Il fatto che tutti siano costretti a utilizzare lo stesso asset monetario inflattivo, rende ciascuno vulnerabile al suo fallimento e il sistema finanziario tanto integro quanto lo è il suo anello più debole.
All’ampliarsi delle insolvenze nella fase di crisi del ciclo economico, la massa monetaria si contrae minacciando la solvibilità del sistema finanziario.
La chiusura di attività commerciali e industriali trascinerebbe nel fallimento anche molte controparti bancarie.
Tuttavia, poiché le banche detengono il monopolio delle funzioni economiche vitali, il loro fallimento rappresenta una catastrofe che politici e opinione pubblica desiderano evitare a tutti i costi.
Inevitabilmente si chiede a gran voce l’intervento della banca centrale e del governo per iniettare liquidità nel sistema finanziario.
La logica dietro i salvataggi è apparentemente convincente.
Milioni di vite umane verrebbero rovinate senza che ne abbiano alcuna colpa solo per il fallimento di qualche istituto finanziario.
Poiché la Banca centrale può creare liquidità a piacimento con il denaro Fiat, si può evitare la distruzione di risparmi semplicemente alleviando la crisi di liquidità con nuove iniezioni monetarie.
Sarebbe pertanto crudele opporsi a tali politiche che, infatti, trovano ampi consensi tra cittadini e imprese.
Essere a favore di salvataggi e nuove iniezioni di denaro è d’altronde anche un modo sicuro per fare carriera in ambito politico e nel mondo accademico.
Un numero significativo di economisti pro denaro Fiat ha costruito intere carriere e assunto incarichi presso la Federal Reserve proprio sostenendo tali posizioni, particolarmente ben gradite a governi, banche e banche centrali.
“A monetary history of the United States” di Milton Friedman, ad esempio, fu un elaborato lavoro di creatività statistica il cui unico consiglio pragmatico era quello di non permettere la contrazione dell’offerta di moneta durante le crisi bancarie.
La tesi conclusiva del libro ipotizzava che la Grande Depressione fosse stata causata dalla mancata reflazione del sistema monetario da parte della Fed dopo il crollo del mercato azionario del 1929.
In merito alle cause del crollo, invece, non fece alcun riferimento alla politica monetaria espansiva degli anni ‘20 o alla natura altamente instabile del sistema bancario a riserva frazionaria costruito su una moneta elastica non convertibile in oro.
Anche Ben Bernanke, ex governatore della Federal Reserve, nella sua tesi di laurea condivise le conclusioni di Friedman.
Dopo cento anni di Fiat standard, il consenso raggiunto da accademici e politici è di evitare a tutti i costi la contrazione monetaria della fase recessiva.
Consenso costruito però su sabbie mobili concettuali, senza aver compreso la corretta relazione causale, ovvero che sia l’inflazione creditizia stessa a creare le premesse per il crollo deflazionistico del credito.
Oltre a ignorare l’importanza di prevenire il problema e le misure da adottare allo scopo, si continua a ignorare anche l’impatto di lungo termine della reflazione che, a propria volta, alimenta nuove bolle finanziarie.
E così il sistema del credito monetario Fiat arranca da un ciclo all’altro, con bolle inflazionistiche e crolli deflazionistici che si susseguono come le stagioni.
Ogni ciclo assegna erroneamente risorse economiche a imprese non redditizie che inevitabilmente falliranno e verranno liquidate, rovinando la vita a molte persone.
Il ciclo economico mostra come il Fiat standard abbia un problema intrinseco sia di tipo deflazionistico che inflazionistico.
Sebbene gli episodi deflazionistici siano ampiamente noti per le loro terribili conseguenze economiche, spesso se ne ignora la loro funzione, vale a dire: ridimensionare la precedente espansione degli aggregati monetari, tenerne a freno la crescita ed evitare una svalutazione ancora più rapida.
Se l’iperinflazione non è un evento molto comune nella maggior parte dei sistemi monetari Fiat, lo si deve soprattutto alle recessioni nonché ad una certa lungimiranza dei banchieri centrali.
In altri termini, la creazione di credito risulta essere, almeno in una certa misura, autocorrettiva.
Sebbene nel secolo scorso si siano verificati circa 60 episodi iperinflazionistici, ciascuno dei quali a suo modo devastante, si tratta pur sempre di episodi eccezionali; la norma conferma invece un’inflazione dei prezzi continua e variabile.
Di solito, l’iperinflazione si è materializzata in seguito a significativi problemi di solvibilità dei governi e a una monetizzazione del debito pubblico attraverso massiccia stampa di cartamoneta, proprio nel senso letterale del termine.
I dati relativi a 167 paesi mostrano, nel periodo compreso fra il 1960 e il 2020, un tasso di crescita medio annuo dell’offerta monetaria del 29%.
Con un incremento medio pari al 6,5% annuo la Svizzera è la nazione con il dato più basso.
Al secondo posto gli Stati Uniti con il 7,4%, al terzo la Svezia con il 7,9% e al quarto la Danimarca con l’8,2%.
Questi quattro casi con la minore inflazione monetaria, almeno tra i paesi esaminati di cui si ha una serie completa di dati, ci forniscono una ragionevole idea di cosa potersi aspettare nel migliore dei casi sotto un Fiat standard.
Peraltro, oltre a presentare i più bassi tassi di crescita dell’offerta monetaria, questi quattro paesi hanno avuto una variabilità relativamente bassa in termini di crescita economica.
A differenza del tasso di crescita dell’offerta di Bitcoin, perfettamente prevedibile e verificabile, e del tasso di crescita costante dell’oro che si aggira in media intorno all’1/2% all’anno, il tasso di crescita annuale del denaro Fiat è estremamente variabile.
Anche per i quattro paesi con le migliori performance l’offerta può spesso aumentare di oltre il 10% all’anno o, talvolta, diventare negativa a causa dei ricorrenti cicli di inflazione, deflazione e reflazione.
Comments