da "L'Azione Umana", di Ludwig von Mises, 1949, Introduzione, pag.45-46
I filosofi sono stati per lungo tempo ansiosi di scoprire i fini che Dio o la natura tenta di realizzare nel corso della storia umana.
Essi hanno cercato la legge del destino e dell'evoluzione umana.
Ma anche pensatori la cui indagine è stata libera da qualsiasi tendenza teologica hanno visto totalmente naufragare i loro sforzi, perché si sono affidati ad un metodo erroneo.
Hanno trattato l'umanità come un tutto o hanno utilizzato altri concetti olistici come nazione, razza o chiesa.
In maniera totalmente arbitraria, hanno individuato i fini a cui il comportamento di queste entità avrebbe dovuto necessariamente condurre.
Non hanno tuttavia potuto rispondere in modo soddisfacente alla questione relativa ai fattori che avrebbero dovuto costringere i vari soggetti agenti a comportarsi in maniera tale che fosse raggiunto il fine perseguito dall'inesorabile evoluzione della società intesa come un tutto.
Hanno fatto ricorso a disperate trasposizioni: i miracolosi interventi della divinità attraverso la rivelazione o mediante profeti appositamente inviati, i capi consacrati, l'armonia prestabilita, la predestinazione, l'intervento di una mistica e favolistica anima cosmica o anima nazionale.
Altri hanno parlato di una astuzia della natura, che ha dotato l'uomo di pulsioni che lo spingono inconsapevolmente proprio sulla via da essa voluta.
Altri filosofi sono stati più realisti.
Non hanno cercato di indovinare i disegni della natura o di Dio.
Hanno guardato le cose umane dal punto di vista del governo.
Si sono preccupati di stabilire regole di azione politica, quasi una tecnica politica e di governo.
Menti speculative hanno formulato ambiziosi piani per una completa riforma e ricostruzione della società.
I più modesti si sono accontentati di raccogliere e di sistematizzare i dati dell'esperienza storica.
Ma tutti hanno condiviso il pieno convincimento che nello svolgimento degli eventi sociali non vi fosse quella regolarità e costanza dei fenomeni già trovata nel modo di ragionare degli uomini e nella successione dei fenomeni della natura.
Non hanno cercato le leggi della cooperazione sociale, perché hanno pensato che l'uomo potesse organizzare la società a proprio piacimento.
È così che, quando le condizioni sociali non hanno soddisfatto i loro desideri o quando le loro utopie si sono dimostrate irrealizzabili, i riformatori hanno attribuito la responsabilità all'incapacità morale dell'uomo.
I problemi sociali sono stati considerati come problemi esclusivamente etici.
E si è ritenuto che, per edificare la società ideale, sarebbero stati necessari buoni prìncipi e cittadini virtuosi.
Con uomini retti, qualsiasi utopia avrebbe potuto trovare realizzazione.
La scoperta dell'ineluttabile interdipendenza dei fenomeni di mercato ha abbattuto tale credenza.
Disorientata, la gente ha dovuto misurarsi con una nuova concezione della società.
Ha appreso con stupore che c'è un'altra angolazione da cui l'azione umana può essere osservata; un'angolazione diversa da quella del bene e del male, del bello e del brutto, del giusto e dell'ingiusto.
Si è in tal modo compreso che, nello svolgimento degli eventi sociali, prevale una regolarità dei fenomeni con cui, se vuole conseguire i propri obiettivi, l'uomo deve fare i conti.
È inutile accostarsi ai fatti sociali con l'attitudine del censore che approva o disapprova in base a criteri arbitrari e giudizi soggettivi di valore.
Si devono studiare le leggi dell'azione umana e della cooperazione sociale, così come il fisico studia le leggi della natura.
L'azione umana e la cooperazione sociale sono divenute l'argomento di un'apposita scienza; non sono state più l'oggetto della disciplina normativa del dover essere.
Il che è stato una rivoluzione che ha prodotto enormi conseguenze nel campo della scienza, della filosofia e della stessa azione sociale.
Comments