da "Come funzionano i mercati", di Israel M. Kirzner, 2002, pag.11-18
A partire dal 1870 circa, è andato emergendo in Europa un corpo di dottrine economiche generalmente condiviso da varie scuole del pensiero economico.
Sotto l'egida della scuola marshalliana in Inghilterra, della scuola mengeriana in Austria e della tradizione walrasiana allora emergente nel continente, sino agli anni Trenta si è attribuito un ruolo centrale alla teoria dei prezzi, ritenuti l'elemento che coordina le decisioni di chi offre e di chi domanda.
Queste diverse scuole di pensiero vengono spesso considerate parti di un unico approccio alla teoria economica, definito in senso lato "neoclassico".
Un principio fondamentale della teoria neoclassica è che il prezzo tende verso il livello che riequilibra il mercato.
Nei termini del semplice diagramma della domanda e dell'offerta (che viene tuttora insegnato a tutti gli studenti che iniziano a studiare economia) ciò indica che prezzi troppo elevati rispetto al livello di equilibrio tendono a diminuire (a causa della concorrenza tra venditori, che tentano di vendere l'eccedenza invenduta) e che prezzi troppo bassi rispetto al livello di equilibrio tendono ad aumentare (a causa della concorrenza di acquirenti desiderosi di acquistare e che poi restano delusi).
Queste regolarità nei movimenti dei prezzi costituivano per gli economisti una spiegazione del mercato che appariva perfettamente generale, applicabile a tutti i tipi di beni e servizi e in grado di mostrare come i fenomeni del mercato fossero sistematicamente l'espressione delle preferenze dei partecipanti.
Tutte queste scuole neoclassiche condividevano l'idea che, nell'analizzare diversi tipi di mercati, fosse scientificamente fruttuoso astrarsi dal dettaglio istituzionale e concentrarsi sulla struttura economica pura del mercato - una struttura analitica dalla quale venivano eliminati tutti gli elementi tranne l'offerta, la domanda e il prezzo.
Questo aspetto dell'economia neoclassica ha avuto l'effetto di mettere in ombra la Scuola Storica di Economia Tedesca, che aveva un taglio anti teorico; tale scuola, negli anni a cavallo del secolo, godeva di grande prestigio.
La consapevolezza da parte delle altre scuole di pensiero della comune opposizione alla Scuola Storica Tedesca, ha indotto le prime a trascurare le differenze sottili, analitiche e metodologiche, che si andavano sviluppando tra loro e che in seguito le avrebbero portate a seguire percorsi teorici estremamente diversi.
Infatti la teoria neoclassica della formazione dei prezzi, così largamente condivisa, si è andata sviluppando lungo linee molto differenti.
Dalla confluenza delle tradizioni marshalliana e walrasiana è emersa l'impostazione dominante ("neoclassica" in senso stretto).
In questa impostazione, si è attribuita particolare rilevanza alle condizioni di equilibrio del mercato, considerate come l'espressione della soluzione a sistemi di equazioni simultanee, costituite dalle funzioni di domanda e di offerta.
Ciò ha distolto l'attenzione dal processo graduale nel corso del quale è possibile immaginare che insiemi di decisioni inizialmente non coordinate si modifichino gradualmente, realizzando un coordinamento reciproco sempre maggiore.
Da qui, il "mistero" cui abbiamo accennato in precedenza: la teoria dominante non è in grado di spiegare come i mercati arrivino a funzionare.
Essa spiega in grande dettaglio le relazioni che prevarrebbero in mercati che funzionano già; non dice nulla sulla natura del processo che può generare tali relazioni.
La terza componente dottrinale dell'originale alleanza tra scuole neoclassiche ha invece sviluppato una spiegazione diversa della teoria dei prezzi.
La tradizione mengeriana è andata gradualmente evolvendosi, fino a quando, all'incirca a metà di questo secolo, ha decisamente preso una direzione che divergeva esplicitamente da quella walrasiana.
Ha riconosciuto che le finezze matematiche che caratterizzavano l'economia prevalente erano state raggiunte al costo di mettere in ombra le caratteristiche chiave della prima spiegazione neoclassica.
Come abbiamo già avuto modo di spiegare, queste idee sono state formulate da Ludwig von Mises e da Friedrich von Hayek negli anni Quaranta.
I contributi di Mises e di Hayek si sono sviluppati nell'ambito di una tradizione austriaca precedente, che non aveva mai messo in discussione la teoria classica dei prezzi.
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È stato probabilmente il famoso dibattito sulla possibilità del calcolo economico socialista che ha spinto Mises e Hayek a riconoscere che le differenze fra la teoria dei prezzi austriaca e quella marshalliano- walrasiana andavano ben oltre un mero problema di linguaggio e di stile.
Nel 1920 Mises aveva sostenuto che la pianificazione centrale, mancando la guida rappresentata dai prezzi di mercato delle risorse, non è in grado di conoscere l'importanza relativa di progetti alternativi nella programmazione della produzione.
Questa posizione ha dato il via ad un'ondata di contributi da parte dei sostenitori della possibilità del calcolo socialista efficiente.
Negli anni Trenta Hayek ha scritto una serie di articoli in risposta a tali contributi, dimostrando che, nonostante tutto, la critica di Mises all'efficienza socialista non era stata adeguatamente contrastata.
Fra i contributi più noti dei socialisti vi erano gli articoli di Oskar Lange e di Abba P. Lerner, in cui si sosteneva che i pianificatori centrali potessero arbitrariamente annunciare dei prezzi delle risorse e indurre i manager della produzione socialista ad utilizzare tali prezzi nella formulazione dei rispettivi piani di produzione.
Le eccedenze di risorse (o la scarsità) avrebbero indicato ai pianificatori centrali la necessità di modificare i prezzi verso il basso (o verso l'alto).
Sviluppando questi schemi, Lange e Lerner sostenevano di aver semplicemente trasferito al modello socialista l'analisi della natura e della funzione dei prezzi delle risorse che avevano appreso dalla teoria dei prezzi dell'economia di mercato.
Questo uso della teoria dei prezzi tradizionali ha condotto Mises e Hayek a comprendere che nella loro analisi della natura dei prezzi di mercato era assolutamente impossibile che i prezzi potessero fungere da modello per gli scopi cui si riferivano Lange e Lerner.
Come reazione a questi sviluppi del dibattito sul calcolo economico socialista, Mises ha scritto la sua opera magna, L'Azione Umana.
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Mises pone l'accento sul carattere dinamico del processo di mercato, che è messo in moto dall'azione dell'imprenditore alla ricerca di profitto, il quale, in un mondo di radicale incertezza, cerca di configurarsi le condizioni che prevarrano in futuro.
"La forza propulsiva del processo di mercato è rappresentata dagli imprenditori che promuovono e speculano ....
La speculazione, finalizzata al profitto, è la forza motrice della produzione".
Il processo di equilibrio, che la teoria dominante in un certo senso considerava come capace di compiersi istantaneamente, si basa su questa attività imprenditoriale e speculativa.
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Per Mises, il punto importante da osservare relativamente allo stato di equilibrio è che "nella costruzione immaginaria dell'economia che gira in modo uniforme non c'è posto per l'attività imprenditoriale".
Il titolo stesso, L'Azione Umana, riflette il fatto che l'enfasi viene posta non sulle decisioni anonime tipiche della teoria tradizionale dell'equilibrio, ma sulle azioni di uomini che perseguono i loro obiettivi in un mondo incerto, e che sono chiamati a formulare le loro valutazioni imprenditoriali per potersi fare strada nel mondo.
"L'azione è sempre speculazione ...
In qualsiasi economia viva e reale ciascun attore è anche imprenditore e speculatore".
La scienza dell'azione umana deve anche essere una scienza delle proprietà riequilibratrici del processo di mercato guidato dall'imprenditore.
L'economia concepita come scienza dell'azione umana è profondamente diversa dalla teoria dei prezzi tradizionale, che si limita ad un'analisi delle condizioni in presenza delle quali si può affermare che un mercato, o un'economia di mercato, è in equilibrio.
Hayek non ha esplicitamente posto l'accento sul ruolo del dinamismo imprenditoriale e della spinta speculativa nel funzionamento del processo di mercato.
Nei suoi saggi raccolti in "Individualism and Economic Order", Hayek ha invece esplorato il modo in cui il processo di mercato rende i partecipanti consapevoli dei comportamenti e dei piani futuri degli altri.
Lo stato di equilibrio, sostiene Hayek, è una situazione in cui i partecipanti al mercato arrivano in qualche modo ad attendersi, da parte degli altri partecipanti, proprio quei piani che poi effettivamente verranno realizzati.
Tutti i piani vengono formulati con una previsione corretta dei piani formulati dagli altri.
Nessuno resta frustrato a causa del fatto che qualcun altro non si è comportato nel modo in cui egli, nel formulare il suo piano, aveva previsto si sarebbe comportato.
Nessuno rimpiange che il piano che ha realizzato non ha sfruttato le opportunità, rese possibili dall'azione degli altri, che il suo intuito gli aveva rivelato ma che la sua previsione non è riuscita ad anticipare.
Scrive Hayek nel 1937: "Il concetto di equilibrio significa solo che la previsione dei diversi membri della società è corretta, nel senso che il piano di ognuno si basa sull'aspettativa proprio di quelle azioni, da parte di altri individui, che questi individui intendono realizzare, e che tutti questi piani si basano sulla aspettativa dello stesso insieme di fatti esterni, di modo che in certe condizioni nessuno avrà motivo di modificare i suoi piani".
Con questa analisi, profondamente importante, dello stato di equilibrio inteso come un insieme di aspettative reciprocamente compatibili, Hayek ha identificato i fattori fondamentali, necessari per mettere in moto il processo di equilibrio.
Questo processo, sostiene Hayek, deve consistere in un apprendimento reciproco, durante il quale ogni partecipante al mercato viene ad acquisire una conoscenza sempre più precisa di quanto gli altri partecipanti sono in grado (e in realtà pianificano) di fare.
"Alla luce della nostra analisi del significato dello stato di equilibrio, il contenuto vero dell'affermazione secondo cui esiste una tendenza verso l'equilibrio non può significare altro che, in certe condizioni, le aspettative della gente e in particolare degli imprenditori diventano sempre più corrette".
Nella teoria standard dei prezzi, afferma Hayek, " generalmente si fa ritenere che il problema di come si forma l'equilibrio sia risolto.
Ma, se guardiamo più da vicino, diventa subito evidente che queste dimostrazioni apparenti non sono altro che la prova apparente di quanto viene già ipotizzato.
Lo strumento che generalmente si utilizza a tal scopo è l'ipotesi di mercato perfetto, in cui ogni evento diventa istantaneamente noto a tutti i membri".
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Nei termini della teoria positiva della scoperta imprenditoriale, tra la spiegazione di Mises del processo dinamico di mercato e la spiegazione di Hayek dello stesso processo, vi sono più punti in comune sulla concezione del mercato che differenze.
È vero che Mises non ha attribuito un rilievo particolare all'apprendimento reciproco che deve aver luogo nel corso del processo di equilibrio indotto dall'imprenditore.
Ed è vero che Hayek non ha posto l'accento sul carattere speculativo ed imprenditoriale del processo di mercato.
Ma questi due modi di articolare la teoria del processo di mercato non sono che due facce della stessa medaglia.
Inoltre, concentrandosi su queste spiegazioni complementari, Mises e Hayek hanno esplicitamente distinto l'economia austriaca dalla teoria dei prezzi tradizionale, che godeva di un consenso diffuso.
Si sono quindi staccati dal paradigma dominante, così come veniva a delinearsi durante la metà del Ventesimo secolo, per andare verso la creazione di un nuovo paradigma "austriaco".
Perché questo nuovo paradigma austriaco non era stato formulato prima ?
Una spiegazione plausibile è che lo stesso paradigma dominante veniva fatto oggetto di modifiche graduali (particolarmente sotto l'influenza dell'approccio walrasiano) nei decenni immediatamente successivi al 1930.
Il pensiero neoclassico originario, infatti, non confinava la teoria dei prezzi all'analisi dell'equilibrio di concorrenza perfetta in condizione di conoscenza perfetta.
I grandi austriaci del Ventesimo secolo, Mises e Hayek, si sono resi conto solo gradualmente della direzione che stava prendendo la teoria dei prezzi tradizionale.
La cristallizzazione della teoria dominante in un approccio limitato all'analisi delle condizioni di equilibrio nell'ipotesi di conoscenza perfetta ha reso possibile e allo stesso tempo necessaria la formulazione, da parte degli austriaci, del loro approccio, per se stessi e per gli altri.
A metà secolo la tradizione austriaca - in un momento in cui la storia convenzionale del pensiero economico considerava tale tradizione in un'eclissi permanente - aveva già prodotto gli elementi di un nuovo schema analitico in base al quale spiegare la formazione dei prezzi, il processo di mercato e il ruolo dell'analisi dell'equilibrio.
Gli sviluppi successivi della storia dell'economia austriaca durante la
seconda metà del Ventesimo secolo hanno continuato il processo di affrancamento graduale dall'approccio dominante.
La teoria della scoperta imprenditoriale offre una sintesi delle idee di Mises e di Hayek che colloca la spiegazione austriaca del processo di mercato in uno schema completamente diverso rispetto a quello della teoria microeconomica contemporanea.
Lo schema austriaco, a differenza di quello dominante, offre una spiegazione soddisfacente del come e del perché i mercati funzionano.
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