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89 - TEORIA DELLA VIOLENZA E TEORIA DEL CONTRATTO

da “Socialismo”, di Ludwig von Mises, 1922, pag. 81-82


È solo lentamente e con difficoltà che l’idea del diritto ha trionfato.

È sempre lentamente e con difficoltà che essa ha respinto il principio della violenza.

Ci sono state ripetutamente delle reazioni; la storia del diritto ha dovuto ripetutamente ricominciare da capo.

Dice Tacito degli antichi germani: “Pigrum quin immo et iners videtur sudore adquirere quod possis sanguine parare” (“Anzi stimano cosa da pigri e indolenti guadagnare col sudore ciò che può essere conquistato col sangue”).

Tra tale punto di vista e le concezioni che dominano la vita economica moderna, c’è una grande distanza.

È una contrapposizione che trascende il problema della proprietà, e coinvolge tutto il nostro atteggiamento nei confronti della vita.

È la contrapposizione tra il modo di pensare feudale e quello borghese.

Il primo si esprime nella poesia romantica, la cui bellezza ci diletta, sebbene la sua visione della vita ci emozioni solo in momenti passeggeri e finché l’impressione della poesia è ancora fresca.

Il secondo si articola in quell’esteso sistema sviluppato dalla filosofia sociale liberale, per la cui realizzazione hanno collaborato le menti più raffinate di tutti i tempi.

La sua grandezza si trova riflessa nella letteratura classica.

Nel liberalismo l’umanità diviene consapevole dei poteri che guidano il suo sviluppo. Le tenebre che sovrastavano i sentieri della storia recedono.

L’uomo comincia a capire la vita sociale e permette consapevolmente che essa si sviluppi.

La concezione feudale non ha mai raggiunto una simile coerente sistematizzazione.

Sarebbe stato impossibile pensare di portare alle sue logiche conclusioni la teoria della violenza.

Provate a riconoscere, sia pure solo mentalmente, il principio della violenza, e la sua caratteristica antisociale viene alla luce.

Porta al caos, alla guerra di tutti contro tutti.

Nessun sofisma può evitare ciò.

Tutte le teorie sociali antiliberali devono necessariamente rimanere frammentarie o giungono alle conclusioni più assurde.

Quando accusano il liberalismo di considerare solo le cose terrene, di trascurare le cose più importanti, a causa delle piccole lotte della vita quotidiana, cercano semplicemente di aprire la serratura di una porta già aperta.

Infatti, il liberalismo non ha mai preteso di essere più di una filosofia della vita terrena. Ciò che esso insegna riguarda solo gli uomini che agiscono o che si astengono dall’agire.

Non ha mai preteso di rivelare l’ultimo o il più grande segreto dell’uomo.

Gli insegnamenti antiliberali promettono invece tutto.

Promettono felicità e pace spirituale, come se all’uomo potesse essere conferita la beatitudine tramite un intervento esterno.

Solo una cosa è certa: che sotto il loro sistema ideale la produzione dei beni diminuisce considerevolmente.

Quanto poi al valore di ciò che ci viene offerto in compenso, le opinioni sono perlomeno divergenti.

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