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I SEI COMANDAMENTI DEL LIBERALISMO

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Il liberalismo è un sistema di pensiero aperto. Ma almeno alcuni valori forti bisogna condividerli.

Di Dario Antiseri

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da Liberal – 16 aprile 1998

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“Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste nessuna autorità umana; e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dei”.

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E’ questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein; lo stesso di quello di Karl Popper: “Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale. La scienza è fallibile perché la scienza è umana”.

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E ancora: evitare l’errore, ammonisce Popper, è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili, è facile che sbaglieremo; l’importante è apprendere dai nostri errori.

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L’errore individuato ed eliminato costituisce il debole segnale rosso che ci permette di venire fuori dalla caverna della nostra ignoranza.

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1  La conoscenza umana è fallibile

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Il fallibilismo epidemiologico, vale a dire la consapevolezza che le nostre conoscenze sono e restano smentibili, è il primo fondamentale presupposto del pensiero liberale.

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Nessuno può presumere di essere in possesso di una verità razionale da imporre agli altri. Razionalmente possiamo soltanto collaborare per il conseguimento di teorie sempre migliori.

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Il liberale è consapevole della propria e dell’altrui fallibilità. Sa che le conoscenze, specie le conoscenze di situazioni particolari di tempo e di luogo, le conoscenze “all’istante” sono disperse, diffuse tra milioni e milioni di uomini; e questo, mentre impone di decentrare le decisioni, rende impraticabile la pianificazione economica centralizzata, la quale dovrà condurre necessariamente al disastro economico e all’oppressione politica non potendo, per altro verso, utilizzare il “calcolo economico”, funzionante in un’economia libera con i prezzi di mercato, quale sistema ottimo di raccolta delle informazioni.

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Consapevole della propria e dell’altrui fallibilità e della propria e dell’altrui ignoranza, il liberale sa che il mondo dei valori, per usare un’espressione di Max Weber, è un mondo politeista; sa che le visioni del mondo, filosofiche o religiose, possono venir proposte e testimoniate e mai imposte.

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Da qui la società aperta, che è aperta a più visioni del mondo religiose o filosofiche, a più valori, a più proposte di soluzione dei problemi concreti, alla maggior quantità di critica.

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La società aperta è aperta dalla nostra fallibilità e dalla nostra ignoranza.

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La società aperta è chiusa solo agli intolleranti.

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“Il potere corrompe ed il potere assoluto corrompe assolutamente”; è questo l’ammonimento di lord Acton. E il liberale, reso edotto dall’esperienza, sa appunto che del potere presto o tardi si abusa.

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Di conseguenza, il liberale non si chiede chi deve comandare, quanto piuttosto come controllare chi comanda; questo vogliono sapere uomini fallibili che costruiscono, perfezionano e proteggono le istituzioni democratiche, pensate per poter convivere con altri uomini fallibili portatori di ideali diversi e magari contrastanti.

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Ma non dobbiamo dimenticare che le istituzioni sono come le fortezze, resistono se è buona la guarnigione.

E poiché non esistono metodi infallibili per evitare la tirannide, il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza.

Vigilanza da esercitare in primo luogo su quei Parlamenti “democratici” che, avendo abolito la distinzione tra legge e legislazione, a tutto favore della legislazione, si credono slegati da ogni vincolo. 

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La tirannia della maggioranza è tirannia, e tirannia pericolosa perché subdola, meno visibile.

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2  La società ? E’ la somma degli individui

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Il liberale rifiuta l’idea liberticida stando alla quale sopra all’individuo ci sarebbe qualche altra entità come, per esempio, lo Stato, il partito o la classe, una qualche altra entità autonoma ed indipendente dagli individui.

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Dare sostanza ai concetti collettivi, reificarli, farli diventare cose è una tentazione a cui è facile cedere.

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I concetti collettivi sono “uno spettro sempre in agguato”, questo pensava Max Weber; e a Weber fa eco Karl Popper: “Parlare di società è estremamente fuorviante. Naturalmente si può usare un concetto come la società o l’ordine sociale; ma non dobbiamo dimenticare che si tratta solo di concetti ausiliari.

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Ciò che esiste veramente sono gli uomini, quelli buoni e quelli cattivi; speriamo non siano troppi questi ultimi, comunque, gli esseri umani, in parte dogmatici, critici, pigri, diligenti o altro.

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Questo è ciò che esiste davvero”.

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Esistono gli uomini che creano, si trasmettono e mutano idee, producendo, con le loro azioni, conseguenze intenzionali e conseguenze inintenzionali.

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Sono gli uomini che esistono, “ma ciò che non esiste è la società. La gente crede invece alla sua esistenza e di conseguenza dà la colpa di tutto alla società o all’ordine sociale”.

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“Ecco”, dice Popper, “uno dei maggiori sbagli è credere che una cosa astratta sia concreta. Si tratta della peggiore ideologia”.

 

3  Il mercato garantisce i diritti

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Contro gli statalisti e contro i monopolisti, il liberale è liberista, difende cioè l’economia di mercato, perché questa, in primo luogo, genera il maggior benessere per il maggior numero di persone e, sostanzialmente, per tutti.

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Ma ci sono altre e più importanti ragioni per cui va difesa l’economia di mercato.

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L’economia di mercato vuol dire, prima di ogni altra cosa, proprietà privata dei mezzi di produzione.

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Ed è esattamente la proprietà privata dei mezzi di produzione a garantire, nel modo più sicuro, le libertà politiche ed i diritti individuali.

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Difatti, come ha scritto Hayek, “chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini”.

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E uno Stato dove non esiste la proprietà privata è uno Stato in cui sono automaticamente cancellate tutte le libertà fondamentali.

 

Ci ricordano Mises e Hayek : a che vale scrivere su di un pezzo di carta che c’è libertà di stampa, quando tutte le cartiere e tutte le tipografie appartengono allo Stato, cioè alla cricca al potere ?

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Non è forse un inganno, come di fatto lo è stato, stabilire su di una Carta Costituzionale che  è garantita la libertà di riunione, se poi tutti i locali, comprese le chiese, appartengono allo Stato ?

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La verità è che economia di mercato e Stato di diritto vivono e muoiono insieme.

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Il liberale sa che l’economia di mercato presuppone e genera valori. L’economia di mercato genera il più ampio benessere. Sta a fondamento delle libertà politiche.

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Esige la pace interna ed esterna, poiché altrimenti si distruggerebbe la condizione minimale che rende possibile la cooperazione in regime di divisione del lavoro.

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A nessuno è lecito scambiare il profitto con il saccheggio.

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Commercium et pax era scritto sul porto di Amsterdam.

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Ludwig von Mises afferma che “la pace è la teoria sociale del liberalismo”.

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E, prima di lui, Frederic Bastiat: “Se su di un confine non passano le merci vi passeranno i cannoni”.

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Insomma: la libertà economica, vale a dire la “logica di mercato”, genera la più ampia prosperità; è inscindibilmente connessa alle libertà politiche; esige la pace. E pone al centro della comunità umana una persona libera, creativa, responsabile.

 

Il liberale sa che la società (presunta) perfetta è la negazione della società aperta.

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Il liberale sa che non esiste nessun criterio razionale per decidere quale sia la società perfetta.

Sa che in ogni utopista sonnecchia un capitano di ventura.

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E ripete con Paul Claudel che “chi cerca di realizzare il paradiso in terra sta in effetti preparando per gli altri un rispettabile inferno”.

 

Decisamente avverso alla violenza dell’utopia, il liberale tiene a distinguersi dal conservatore.

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4  Tutto quello che il vero liberale non è

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Il conservatore teme il cambiamento; il liberale, invece, si affida alla concorrenza quale procedura di scoperta del nuovo.

 

Il liberale non è un anarchico; e non è neppure un libertario per il quale non ci sono funzioni e compiti da affidare al governo.

 

Il liberale rifiuta il costruttivismo, di stampo illuministico, prodotto di una “irragionevole Età della Ragione”, vale a dire la concezione secondo cui tutte le istituzioni e tutti gli eventi sociali sarebbero risultati di piani intenzionali, di espliciti progetti voluti e realizzati.

 

Difensore della famiglia, attento alle formazioni o corpi intermedi, il liberale propone una teoria evolutiva delle istituzioni, le più importanti delle quali (linguaggio, moneta, diritto, ecc,) egli vede quali esiti inintenzionali di azioni umane intenzionali volte ad altri scopi.

 

Ammonendo lo scienziato sociale a non togliere mai lo sguardo dall’emergenza di conseguenze inintenzionali di progetti intenzionali, il liberale respinge la teoria cospiratoria della società e la respinge esattamente per la ragione che l’inevitabile insorgenza di conseguenze inintenzionali di azioni umane intenzionali fa capire che possono esistere cause senza colpe e riuscite senza merito.

 

5  Competere fa bene al pubblico

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Il liberale sa che la competizione è la più alta forma di collaborazione.

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La scienza progredisce tramite la competizione tra più idee; la democrazia è competizione tra proposte politiche; la libera economia è competizione tra merci.

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La competizione è il grande principio che anima scienza, democrazia ed economia di mercato.

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La competizione è un tratto essenziale della civiltà occidentale. E chi rifiuta la competizione deve aver chiaro che ha fatto una scelta: ha scelto la via della caverna.

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Competizione da cum-petere che vuol dire cercare insieme, in modo agonistico, la soluzione migliore.

La competizione è una macchina di esplorazione dell’ignoto, arricchisce il mondo, è strumento di solidarietà giacchè viene incontro ai consumatori; consente l’appagamento dei loro desideri al costo più basso.

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Qualche tempo fa il presidente dell’Antitrust Giuliano Amato ha dichiarato che a Brindisi “l’apertura alla concorrenza ha fatto scendere da cento a dieci il costo dei servizi di pulizia delle banchine dello scalo marittimo”.

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Viene da chiedersi: a Brindisi l’ente pubblico era davvero solidale con i contribuenti ?

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E sorge il sospetto che l’ente pubblico, in linea generale, nasconda proprio interessi privati.

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Che cos’è l’informazione pubblica ? E visto che ci siamo, è più solidale con i giovani e con le famiglie una scuola, come quella italiana, oppressa dal (quasi) monopolio statale dell’istruzione (monopolio sciupone, inefficiente, ingiusto e liberticida), ovvero una scuola, statale e non statale, rinvigorita dalla competizione ?

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L’idea di buono-scuola, formulata dapprima da Milton Friedman, ripresa da Friedrich von Hayek, riproposta in Italia oltre vent’anni fa da Antonio Martino, è un’idea che, osteggiata da destra e sinistra, rappresenta la soluzione razionale di un problema urgente.

 

6  Il nemico del merito è il privilegio

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Il liberale sa che l’imprenditore che rischia nella libera concorrenza è un costruttore di benessere.

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E sa che il sistema capitalista ha ridotto, più che qualsiasi altro sistema, le distanze sociali tra ricchi e poveri, eliminando per la prima volta nella storia (laddove si è affermato) la “povertà assoluta” e alleviando quella relativa.

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Certo, il liberale sa che una società che abbia abbracciato l’economia di mercato non è e non sarà mai il paradiso.

E tuttavia egli sa che è preferibile dividere in parti disuguali la ricchezza in un mondo di libertà e di pace, piuttosto che dividere in parti sempre e comunque disuguali la miseria in un mondo di oppressione e di odio, in cui vige il principio stando al quale “chi non ubbidisce non mangia”.

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Il liberale dà onore al merito, perché il merito individuale equivale in linea generale ad un servizio per gli altri come è il caso di un bravo chirurgo o del bravo ingegnere.

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Il liberale oppone il merito al privilegio: il privilegio è la regola della corte, sintomo di servitorame. E nella corte, prima o poi, le decisioni le prenderà una qualche Madame Pompadour.

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Ecco, dunque, chi è l’ homo liberalis.

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Il liberale non è un anarchico, non è un libertario: il liberale non pensa che non ci siano funzioni e compiti da affidare al governo.

 

Il liberale, diversamente dai costruttivisti, sa che non tutte le istituzioni e non tutti gli eventi storico-sociali sono esiti di piani intenzionali; si danno, infatti, le inevitabili conseguenze inintenzionali di azioni umane intenzionali.

 

E pertanto il liberale è avverso pure alla teoria cospiratoria della società, stando alla quale tutti gli eventi sociali negativi sarebbero frutto di cospirazioni o congiure ordite da nemici o comunque da individui malvagi; la realtà è che possono esistere cause senza colpe e riuscite senza merito.

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Il liberale difende, contro lo Stato onnivoro, i corpi intermedi e le istituzioni volontarie.

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Il liberale sa che il mercato, al pari della scienza, è sempre innocente; se qualcuno realizza profitti vendendo armi o spacciando droga, colpevole non è il mercato, colpevoli sono quelle persone che vendono e comprano armi o droga e disumana è la loro etica. Da riformare, in questo caso, non è dunque il mercato, ma l’etica; e inefficaci sono stati profeti, maestri e predicatori.

 

Né è da pensare che il mercato neghi la solidarietà. La Grande Società ha insegnato, tra gli altri, F.A. von Hayek, non solo può essere solidale perché è ricca e può quindi permetterselo; essa deve essere solidale perché, avendo spezzato i vincoli che tenevano uniti gli individui nel piccolo gruppo, cancella quella relativa sicurezza e quella protezione di cui godeva il debole. Da qui il dovere da parte dello Stato di venire incontro ai bisognosi d’aiuto.

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Mercato e solidarietà sono coniugabili. Non coniugabili sono, invece, mercato e dissipazione delle risorse, mercato e corruzione; lo statalismo fa l’uomo ladro, e trasforma i cittadini in accattoni ricattabili, i quali per mestiere fanno gli elettori.

 

E, da ultimo, il liberale non è anticlericale. Scrive Hayek: “A differenza del razionalismo della Rivoluzione francese, il vero liberalismo non ha niente contro la religione, ed io non posso che deplorare l’anticlericalismo militante ed essenzialmente illiberale che ha animato tanta parte del liberalismo continentale del diciannovesimo secolo”.

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