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66 - LA STRADA ABBANDONATA DEL LIBERALISMO

Da "La via della schiavitù", di Friedrich von Hayek, 1944, pag.57-62


Che un mutamento di idee e la forza della volontà umana abbiano reso il mondo così come è ora, sebbene gli uomini non ne avessero previsto i risultati, e che nessun mutamento spontaneo nei fatti ci obbligava a pensarla in quel modo, sono forse cose particolarmente difficili da comprendere per i popoli anglosassoni; e difficili proprio perché queste Nazioni, fortunatamente per loro, sono rimaste indietro rispetto alla maggior parte dei popoli europei.

Noi pensiamo ancora che gli ideali che ci guidano e che ci hanno guidato nella generazione precedente siano ideali che vanno realizzati solo nel futuro e non ci rendiamo conto di quanto profondamente essi abbiano già trasformato, negli ultimi 25 anni, non soltanto il mondo ma i nostri stessi paesi.

Noi crediamo ancora di essere stati governati, fino a pochissimo tempo fa, da quelle che vagamente vengono chiamate idee del XIX secolo, cioè dal principio del “laissez faire”.

Certo, se si fa il confronto con altri paesi e se si guardano le cose dal punto di vista di coloro che sono impazienti di accelerare il mutamento, ci può allora essere una qualche giustificazione per una siffatta credenza.

Ma quantunque fino al 1931 l'Inghilterra e l'America si fossero incamminate solo lentamente su quella strada lungo la quale altri avevano marciato con decisione, proprio da allora esse si sono spinte così avanti che soltanto coloro la cui memoria torna indietro agli anni precedenti la prima guerra mondiale sanno a cosa somigliasse un mondo liberale.

Il punto nodale del quale la nostra gente è ancora così poco consapevole non è, comunque, semplicemente l'ampiezza dei mutamenti che si sono verificati nel corso dell'ultima generazione, ma il fatto che essi equivalgono ad una completa svolta nella direzione dell'evoluzione delle nostre idee e dell'ordine sociale.

Per almeno 25 anni, prima che lo spettro del totalitarismo divenisse una minaccia reale, noi ci siamo progressivamente allontanati dalle idee fondamentali sulle quali è stata edificata la nostra civiltà occidentale.

Che questo movimento, nel quale ci eravamo impegnati pieni di nobili speranze e ambizioni, ci dovesse portare faccia a faccia con l'orrore del totalitarismo, ha costituito un colpo tremendo per l'attuale generazione, la quale si rifiuta ancora di collegare i due fatti.

E tuttavia questo sviluppo degli eventi semplicemente conferma gli ammonimenti dei padri della filosofia liberale, filosofia che noi ancora professiamo.

Noi abbiamo progressivamente abbandonato quella libertà in campo economico senza la quale non è mai esistita nel passato la libertà personale e politica.

Sebbene fossimo stati ammoniti da alcuni dei più grandi pensatori politici del XIX secolo, da Tocqueville e Lord Acton, che il socialismo significa schiavitù, noi ci siamo costantemente mossi nella direzione del socialismo.

E ora che davanti ai nostri occhi abbiamo visto sorgere una nuova forma di schiavitù, abbiamo dimenticato così completamente l'ammonimento che difficilmente ci riesce di pensare che le due cose possano essere connesse.

Quanto netta sia la rottura che la tendenza attuale verso il socialismo sta a significare non solo con il recente passato, ma con l'intera evoluzione della civiltà occidentale, diventa chiaro se consideriamo questa rottura non solo sullo sfondo del XIX secolo, ma in una prospettiva storica di più lunga gittata

Noi stiamo abbandonando rapidamente non soltanto le concezioni di Codben e di Bright, di Adam Smith e di Hume, o anche di Locke e di Milton, ma una delle caratteristiche più salienti della civiltà occidentale, così come questa è cresciuta sulle fondamenta poste dal cristianesimo e dai greci e dai romani.

Non è semplicemente il liberalismo del XIX e del XVIII secolo, ma è il basilare individualismo che abbiamo ereditato da Erasmo e da Montaigne, da Cicerone e da Tacito, da Pericle e da Tucidide, che viene progressivamente abbandonato.

Quel leader nazista, che descrisse la rivoluzione nazionalsocialista come un contro-Rinascimento, diceva più verità di quanto probabilmente egli stesso pensasse.

Tale rivoluzione ha costituito il passo decisivo verso la distruzione di quella civiltà che l'uomo moderno aveva costruito dall'epoca del Rinascimento e che è stata, soprattutto, una civiltà individualista.

L'individualismo ha oggi una cattiva reputazione, e al termine si connettono le idee di egoismo sfrenato e di attaccamento ai soli propri interessi.

Ma l'individualismo di cui stiamo parlando, contrapponendolo al socialismo e a tutte le altre forme di collettivismo, non ha nessun necessario collegamento con quelle idee.

Solo gradualmente, nel corso di questo libro, riusciremo a chiarire il contrasto tra i due opposti principi.

Tuttavia i tratti essenziali di quell'individualismo che, sulla base di elementi derivati dal cristianesimo e dalla filosofia dell'antichità classica, si sviluppò a pieno per la prima volta durante il Rinascimento, e da allora è cresciuto e si è dispiegato in quella che conosciamo come la civiltà occidentale, questi tratti essenziali sono dunque il rispetto dell'uomo singolo in quanto uomo, cioè il riconoscimento che le sue idee e i suoi gusti sono supremi nella sua propria sfera per quanto strettamente questa possa essere limitata, e la credenza che è desiderabile che gli uomini sviluppino i loro talenti e le loro inclinazioni individuali.

La parola “libertà” è ormai così logorata dall'uso e dall'abuso che si esita ad utilizzarla per esprimere gli ideali che essa rappresentava durante quel periodo.

“Tolleranza” è forse l'unica parola che ancora conservi il pieno significato del principio che durante tutto quel periodo si era di continuo rafforzato, e che solo in tempi recenti è tornato in fase decadente per sparire del tutto con la nascita dello Stato totalitario.

La graduale trasformazione di un sistema gerarchico rigidamente organizzato in un sistema nel quale gli uomini possano almeno tentare di foggiare la loro propria esistenza, nel quale gli uomini possano avere l'opportunità di conoscere e scegliere tra diverse forme di vita, ebbene tale trasformazione è strettamente collegata allo sviluppo del commercio.

Dalle città commerciali dell'Italia del Nord, la nuova concezione di vita si diffuse col commercio verso l'Occidente e verso il Settentrione, attraverso la Francia e la Germania sud occidentale, fino ai Paesi Bassi e alle isole britanniche, radicandosi saldamente dovunque non esisteva un potere politico dispotico che la soffocasse.

Nei Paesi Bassi e nelle isole britanniche questa concezione godette per un lungo periodo il suo più pieno sviluppo e, per la prima volta, ebbe l'opportunità di crescere liberamente e diventare la base della vita sociale e politica di questi paesi.

E fu da qui che sul finire del XVII secolo e nel XVIII secolo essa cominciò di nuovo a diffondersi, in una forma più pienamente sviluppata, verso Occidente e verso Oriente, verso il Nuovo Mondo e verso il centro del continente europeo, dove guerre devastatrici e l'oppressione politica avevano largamente sommerso i primi inizi di un analogo sviluppo.

Durante l'intero corso di questo periodo moderno della storia europea, la direzione generale dell'evoluzione sociale andò nel senso della liberazione dell'individuo dalle catene che lo avevano legato nel compimento delle sue attività ordinarie ai modi di fare trasmessi dalla consuetudine o imposti da prescrizioni.

La chiara consapevolezza secondo cui gli sforzi spontanei e non controllati degli individui erano in grado di produrre un sistema complesso di attività economiche potè apparire solo dopo che questo sviluppo aveva fatto un qualche progresso.

L'elaborazione successiva di una consistente argomentazione a favore della libertà economica fu l'esito di un libero sviluppo dell'attività economica che si era avuto come il sottoprodotto inintenzionale e imprevisto della libertà politica.

Forse il risultato maggiore dell'aver tolto le catene alle energie individuali fu lo sviluppo meraviglioso della scienza che seguì il cammino della libertà individuale dall'Italia all'Inghilterra e oltre.

Che la capacità creativa dell'uomo non fosse certamente stata inferiore nei periodi precedenti è dimostrato da molti ingegnosissimi giocattoli automatici e da altri ritrovati meccanici costruiti al tempo in cui la tecnica industriale rimaneva stazionaria, e dallo sviluppo di alcune attività che, come l'estrazione dei minerali e la costruzione di orologi, non erano soggette a controlli restrittivi.

Ma i pochi tentativi intesi ad una più estesa applicazione industriale delle invenzioni meccaniche - alcune delle quali erano straordinariamente avanzate - furono prontamente repressi e il desiderio del sapere fu soffocato, fino a quando le idee dominanti vennero ritenute essere vincolanti per tutti.

Alle opinioni della grande maggioranza su ciò che era giusto e opportuno era concesso il potere di sbarrare la via al singolo innovatore.

Solo dopo che la libertà industriale ebbe aperto la via al libero uso delle nuove conoscenze, solo dopo che divenne possibile tentare qualsiasi cosa - se solo ci fosse stato qualcuno disposto ad assumere il rischio - e, si potrebbe aggiungere, solo nella misura in cui le autorità non interferirono ufficialmente dal di fuori nella produzione della cultura, la scienza ha fatto quei grandi progressi che hanno cambiato negli ultimi 150 anni la faccia del mondo.

Come spesso si dà, l'essenza della nostra civiltà è stata compresa con più chiarezza dai i suoi nemici che dalla maggior parte dei suoi amici: “l'eterna malattia dell'Occidente, la rivolta dell'individuo contro la specie”, così la definì quel totalitario del XIX secolo che fu Auguste Comte, è stata in realtà la forza che ha costruito la nostra civiltà.

Quello che il secolo XIX ha aggiunto all'individualismo del periodo precedente consistette semplicemente nel dare a tutte le classi la coscienza della libertà, nello sviluppare sistematicamente e in modo continuo ciò che era cresciuto in modo casuale e non sistematico, e nel diffondere tutto questo, dall'Inghilterra e dall'Olanda, su quasi tutto il continente europeo.




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