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60 - LIBERALISMO E DEMOCRAZIA, TRA INDIVIDUALISMO E COLLETTIVISMO

da "L'azione Umana", di Ludwig von Mises, 1949, pag. 193-197


La dottrina sociale liberale, basata sugli insegnamenti dell'etica utilitaristica e dell'economia, vede il problema delle relazioni tra governo e governati da un angolo differente da quello dell'universalismo e del collettivismo.

Il liberalismo si rende conto che i governanti, che sono sempre una minoranza, non possono rimanere a lungo nella loro carica se non sostenuti dal consenso della maggioranza dei governati.

Quale che possa essere il sistema di governo, il fondamento su cui esso è costruito e riposa è sempre l'opinione dei governati, i quali devono ritenere che l'obbedienza e la lealtà al governo servano i propri interessi meglio dell'insurrezione e della costituzione di un altro regime.

La maggioranza ha il potere di disfarsi di un governo impopolare e usa tale potere quando è convinta che il proprio benessere lo richieda.

Nel lungo periodo non ci sono governi impopolari.

Guerra civile e rivoluzione sono i mezzi mediante cui le maggioranze scontente depongono despoti e sostituiscono sistemi di governo non adatti a loro.

Nell'interesse della pace interna, il liberalismo mira a un governo democratico.

La democrazia non è quindi un'istituzione rivoluzionaria.

Al contrario, è il miglior mezzo per prevenire le rivoluzioni e le guerre civili.

Essa fornisce un metodo per l'adeguamento pacifico del governo alla volontà della maggioranza.

Se gli uomini in carica e le loro politiche non piacciono più alla maggioranza della nazione, essi saranno - nelle elezioni successive - tolti di scena e sostituiti con uomini che seguono politiche differenti.

Il principio del governo della maggioranza o del governo del popolo, nel senso raccomandato dal liberalismo, non mira alla supremazia dei mascalzoni, degli incolti e dei barbari interni.

I liberali credono che una nazione dovrebbe essere governata dai più adatti al compito.

Ma credono pure che l'abilità a governare si dimostri convincendo i propri concittadini, piuttosto che usando la forza su di essi.

Non ci sono ovviamente garanzie che i votanti conferiranno il potere al candidato più competente.

Ma nessun altro sistema potrebbe offrire tali garanzie.

Se la maggioranza dei cittadini di una nazione è in preda a principi infecondi e preferisce indegni cacciatori di cariche, non c'è altro rimedio che tentare, proponendo principi più ragionevoli e raccomandando uomini migliori, di cambiare le loro idee.

Non ci sono altri mezzi attraverso cui una minoranza possa ottenere un successo durevole.

....


Il carattere quasi teologico di tutte le dottrine collettivistiche diventa manifesto nei loro reciproci conflitti.

Una dottrina collettivista non asserisce la superiorità di un tutto collettivo in astratto; essa proclama sempre l'eminenza di un certo idolo e nega assolutamente l'esistenza di altri idoli simili o li relega in una posizione subordinata al proprio.

Gli adoratori dello Stato proclamano l'eccellenza di un certo Stato, cioè il proprio; i nazionalisti l'eccellenza della loro propria Nazione.

Se coloro che dissentono sfidano il loro particolare programma, sostenendo la superiorità di un altro idolo collettivista, i primi non trovano altra obiezione all'infuori di dichiarare ripetutamente: "Abbiamo ragione, perché una voce interiore ci dice che noi abbiamo ragione e che voi avete torto".

I conflitti tra credenze e sette collettivistiche antagoniste non possono essere risolti tramite la ragione; devono essere decisi con le armi.

Le alternative al principio democratico della regola della maggioranza sono i principi militaristi del conflitto armato e dell'oppressione dittatoriale.

Tutte le varietà di credenze collettiviste sono unite nella loro implacabile ostilità nei confronti delle fondamentali istituzioni politiche del sistema liberale: regola della maggioranza, tolleranza del dissenso, libertà di pensiero, di parola e di stampa, uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge.

La collaborazione di tutte le confessioni collettivistiche nei loro tentativi di distruggere la libertà ha originato l'erroneo convincimento che il problema degli odierni antagonismi politici sia l'opposizione tra individualismo e collettivismo.

In effetti, si tratta della lotta tra l'individualismo, da un lato, e la moltitudine di sette collettivistiche dall'altro.

Ma fra queste c'è odio reciproco e ostilità non meno feroci di quelli rivolti al sistema liberale.

.......


Quella comunemente chiamata individualismo è una filosofia della cooperazione sociale e della progressiva intensificazione dei legami sociali.

L'applicazione invece delle idee di base del collettivismo non può portare ad altro che alla disintegrazione sociale e alla perpetuazione del conflitto.

È vero che ogni varietà di collettivismo promette pace perpetua, cominciando dal giorno della propria vittoria decisiva per la soppressione totale di tutte le altre ideologie e dei relativi sostenitori.

La realizzazione di questi piani è tuttavia condizionata a una trasformazione radicale del genere umano.

Gli uomini devono essere divisi in due classi: da un lato c'è l'onnipotente dittatore, simile a Dio, e dall'altro ci sono le masse, che devono rinunciare a volere e ragionare e devono essere pedine nei piani del dittatore.

Per poter fare di un uomo il loro capo divino, le masse devono lasciarsi disumanizzare.

Il pensiero, l'azione, le caratteristiche più importanti dell'uomo in quanto tale, devono divenire il privilegio di un solo uomo.

Non c'è bisogno di precisare che tali disegni sono irrealizzabili.

......


La riaffermazione moderna dell'idea collettivistica, causa principale di tutte le sofferenze e i disastri dei nostri giorni, é riuscita così bene da ridurre all'oblio le idee essenziali della filosofia sociale liberale.

Persino molti di quelli che sono a favore delle istituzioni democratiche ignorano oggi le idee liberali.

Gli argomenti che essi avanzano per giustificare la libertà e la democrazia sono viziati da errori collettivistici.

Le loro dottrine sono piuttosto una distorsione che un'accettazione del vero liberalismo.

Ai loro occhi le maggioranze hanno sempre ragione, semplicemente perché esse hanno il potere di distruggere ogni opposizione; il governo della maggioranza è per loro il governo dittatoriale del partito più numeroso, sicché la maggioranza al governo non è tenuta a limiti nell'esercizio dei suoi poteri e nella condotta degli affari politici.

Non appena una fazione riesce a guadagnarsi l'appoggio della maggioranza dei cittadini, e quindi a ottenere il controllo della macchina governativa, è libera di negare alla minoranza tutti quei diritti democratici per mezzo dei quali essa stessa ha precedentemente combattuto la sua battaglia per la supremazia.

Questo pseudo liberalismo è ovviamente l'antitesi stessa della dottrina liberale.

I liberali non sostengono che le maggioranze sono simili a Dio e infallibili; non affermano che, se una politica è sostenuta della maggioranza, ciò sia prova dei suoi meriti nel conseguimento del comune benessere.

Essi non raccomandano la dittatura della maggioranza e l'oppressione violenta delle minoranze dissenzienti.

Il liberalismo mira a una costituzione politica che salvaguardi il regolare funzionamento della cooperazione sociale e l'intensificazione progressiva delle reciproche relazioni.

Suo principale obiettivo è evitare i conflitti violenti, la guerra e le rivoluzioni che conducono alla disintegrazione della collaborazione sociale e riportano gli uomini nella barbarie delle condizioni primitive, in cui tutte le tribù e i corpi politici si combattevano l'un l'altro interminabilmente.

Poiché la divisione del lavoro richiede una pace indisturbata, il liberalismo mira a stabilire un sistema di governo che possa preservare la pace, cioè la democrazia.


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