131 - LA LEGGE DI HUME VANIFICA L'ETICA DEI GIUSNATURALISTI
- libertus65
- 19 lug
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da “Principi liberali”, di Dario Antiseri, 2003, pag. 26-29
Ed ecco il celebre brano tratto dal terzo libro del Treatise of Human Nature di Hume: “In ogni sistema di morale con cui ho avuto finora a che fare, ho sempre notato che l’autore procede per un po’ nel modo ordinario di ragionare, e stabilisce l’esistenza di un bene, oppure fa delle osservazioni circa le faccende umane; quando all’improvviso mi sorprendo a scoprire che, invece di trovare delle proposizioni, rette come di consueto dai verbi “è” e “non è”, non incontro che proposizioni connesse con “dovrebbe” e “non dovrebbe”.
Questo mutamento è impercettibile, ma è della massima importanza, poiché questi “dovrebbe” e “non dovrebbe” esprimono una relazione o affermazione nuova, ed è necessario che si adduca una ragione di ciò che sembra del tutto inconcepibile, cioè del modo in cui questa nuova relazione può essere dedotta dalle altre, che sono totalmente diverse da essa”.
In realtà, questa ragione non può essere addotta giacché da proposizioni descrittive possono venire logicamente dedotte unicamente proposizioni descrittive: l’informazione non produce imperativi.
E, dunque, non si passa dall’essere al dover essere.
Questa in breve è la legge di Hume, la grande divisione tra asserzioni indicative e asserzioni prescrittive, tra fatti e valori.
E tale legge, se è valida, vanifica in ambito etico le pretese fondazionali dei giusnaturalisti.
Benedetto Croce racconta che, quando era ancora studente all’Università di Roma, gli fu assegnata un’esercitazione sui diritti innati dell’uomo.
Ed egli ricorda: “Dopo avervi lavorato intorno alcune settimane, mi presentai infine al professore a dichiarare, assai confuso e umiliato, che nel corso dello studio ero stato tratto a ridurre quei diritti a numero via via sempre minore, e che me n’era rimasto tra le mani uno solo, e quel solo anch’esso, in ultimo, non so come, era sfumato.“
Ed ecco cosa la sapienza storica faceva dire al Muratori: “L’esperienza ci fa conoscere essere la ragione naturale un tal nome che si trae in varie maniere; e se voi domandate a due avvocati contrari e a due giudici di contrarie opinioni, ognuno di essi sosterrà stare la ragione naturale dal canto suo“.
Ma, a parte tutto ciò, è chiaro, come afferma Bobbio, che “anche se l’accordo su ciò che è naturale fosse massimo, non ne deriverebbe necessariamente l’accordo unanime su ciò che è giusto e ingiusto“.
E se poniamo attenzione alle diversità (esistite nel passato ed esistenti oggi) delle concezioni circa il bene e il male, ma se soprattutto volgiamo lo sguardo alla storia delle vicende dei conflitti umani, dovremmo allora ripetere con Pascal che “il furto, l’uccisione dei figli o dei padri, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuose“; “singolare giustizia, che ha come confine un fiume! Verità di qua dei Pirenei, errore di là“.
La storia delle vicende umane dà ragione a Max Weber quando questi asserisce che “tra i diversi valori che presiedono all’ordinamento del mondo il contrasto è inconciliabile“.
Ed insieme a Mill, Weber aggiunge che, sempre nel campo dei valori, “partendo dalla pura esperienza si giunge al politeismo“.
Nella realtà della vita si dà il politeismo dei valori perché dalla prospettiva logica i valori e le norme etiche sono proposte (di ideali di vita, di azioni corrette, di leggi giuste, di istituzioni valide, etc) e non proposizioni indicative.
L’etica non de-scrive; essa pre-scrive.
L’etica non spiega e non prevede; l’etica valuta.
Difatti non esistono spiegazioni etiche. Esistono soltanto spiegazioni scientifiche; e valutazioni etiche.
Nè si danno previsioni etiche (o estetiche).
L’etica non sa. L’etica non è scienza.
L’etica è senza verità.
Se l’esser vero (o falso) è un predicato delle proposizioni indicative, se dunque la verità è un attributo degli asserti scientifici (e di altre proposizioni indicative), questa scienza - tutta la scienza e qualsiasi altra teoria descrittiva, magari metafisica - non può logicamente produrre etica.
E non lo può per la ragione che da proposizioni descrittive non è possibile dedurre asserti prescrittivi.
Conseguentemente, dall’intera scienza non è possibile spremere un grammo di morale.
Tutto il sapere concepibile non produce valori, nè può smentirli.
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