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37 - IL CRISTIANESIMO PRIMITIVO E LA SOCIETÀ

Aggiornamento: 16 ott 2020

IL CRISTIANESIMO PRIMITIVO E LA SOCIETÀ

da "Socialismo" di Ludwig von Mises, 1922, pag. 457-461


Il cristianesimo primitivo non era ascetico.

Con gioiosa accettazione della vita, esso deliberatamente spinse in secondo piano gli ideali ascetici che permeavano molte sette di quel tempo (anche Giovanni Battista viveva da asceta).

L'ascetismo fu introdotto nel cristianesimo soltanto nel terzo e quarto secolo; risalgono a quel periodo la reinterpretazione del Vangelo e la riforma dei suoi insegnamenti.

Il Cristo del Vangelo gioisce delle gioie della vita assieme ai suoi discepoli, mangia e beve come gli altri, e partecipa alle feste della gente.

È lontano dall'ascetismo e dal desiderio di fuggire dal mondo tanto quanto lo è dall'intemperanza e dalla depravazione.

Unicamente il suo atteggiamento nei confronti delle relazioni sessuali suscita in noi l'impressione dell'ascetismo, ma possiamo spiegare ciò, così come possiamo spiegare tutti gli insegnamenti pratici del Vangelo - che non offrono alcuna regola di vita all'infuori di quelle di carattere pratico - attraverso la concezione fondamentale che spiega tutti i gesti di Gesù, e cioè l'idea del Messia.

"Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo".

Queste sono le parole con cui nel vangelo di Marco il Redentore fa la sua apparizione.

Gesù considera se stesso come il profeta del Regno di Dio che si avvicina, il Regno che, come annunciato nelle antiche profezie, condurrà alla redenzione da tutte le insufficienze terrene e, insieme, da tutte le preoccupazioni economiche.

I suoi seguaci non devono fare altro che prepararsi per quel giorno.

Il tempo delle preoccupazioni terrene è passato e ora, nell'attesa del Regno, gli uomini devono pensare a cose più importanti.

Gesù non offre regole per l'azione e per i conflitti terreni; il suo regno non è di questo mondo.

Le norme di condotta che egli dà ai suoi seguaci sono valide solo per il breve intervallo di tempo che deve essere vissuto, nell'attesa dei grandi eventi.

Nel regno di Dio non esisteranno più preoccupazioni economiche.

I credenti mangeranno e berranno alla mensa del Signore (Luca, 22, 30).

Per un regno siffatto, dunque, tutte le deliberazioni economiche e politiche sono superflue.

Tutte le regole date da Gesù devono essere considerate come espedienti puramente transitori.

È solo in questo modo che noi possiamo capire perché, nel Discorso della montagna, Gesù raccomanda alla sua gente di non preoccuparsi per il cibo, per le bevande e per i vestiti; perché egli li esorti a non seminare, a non mietere, a non accumulare nei granai, a non lavorare e a non filare.

Qui è anche l'unica spiegazione del "comunismo" suo e dei suoi discepoli.

Questo comunismo non è socialismo; non è la produzione attraverso mezzi di produzione appartenenti alla collettività.

Non è altro che una distribuzione dei beni di consumo tra i membri della comunità - "a ciascuno secondo i propri bisogni" (Atti degli Apostoli, 4,35).

È un comunismo di beni di consumo, non di mezzi di produzione; una comunità di consumatori, non di produttori.

I primi cristiani non producono, non lavorano, non accumulano assolutamente nulla.

I nuovi convertiti vendono le loro proprietà e dividono il ricavato con i fratelli e le sorelle.

Un tal modo di vita non regge a lungo.

Può costituire solo uno stato di cose provvisorio, cosa che appunto intendeva essere.

I discepoli di Cristo vivevano infatti nella quotidiana attesa della salvezza.

L'idea del cristianesimo primitivo, secondo la quale il compimento della promessa è imminente, si è gradualmente trasformata in quella concezione del Giudizio Universale che sta alla radice di tutti i movimenti ecclesiastici che hanno avuto una qualche durata.

Di pari passo con questa trasformazione è andata l'intera ricostruzione delle regole di vita cristiana.

L'attesa dell'avvento del Regno di Dio non poteva più servire come base di quelle regole.

Allorché le comunità cercarono di organizzarsi per una durata più lunga della vita sulla terra, esse smisero di chiedere ai fedeli di astenersi dall'attività lavorativa e di dedicarsi alla vita contemplativa in preparazione del Regno di Dio.

Non solo dovettero tollerare la partecipazione dei loro fratelli al lavoro nel mondo, ma lo dovettero raccomandare, per evitare la distruzione delle condizioni necessarie alla sopravvivenza stessa della loro religione.

E così il cristianesimo, che ai suoi inizi aveva manifestato la più completa indifferenza verso tutte le situazioni sociali, giunse praticamente a canonizzare l'ordine sociale del declinante Impero Romano, una volta iniziato il processo di adattamento della Chiesa a quell'ordine.

È un errore parlare di dottrine sociali del cristianesimo primitivo.

Il Cristo storico e la sua predicazione, così come sono presentati dalla parte più antica del Nuovo Testamento, sono completamente indifferenti a ogni considerazione sociale.

Non che Cristo non criticasse aspramente lo stato di cose del suo tempo, ma non riteneva valesse la pena occuparsi di quello che ne poteva essere un miglioramento o addirittura occuparsene.

Quella era cosa di Dio.

Dio avrebbe instaurato il suo Regno, perfetto e glorioso, e l'avvento di questo Regno sarebbe stato imminente.

Nessuno sapeva come sarebbe stato questo Regno, ma una cosa era certa: in esso si sarebbe vissuti liberi da preoccupazioni.

Gesù non si perde nelle minuzie dei dettagli, questi non erano necessari.

Gli Ebrei di allora non dubitavano, infatti, dello splendore della vita nel Regno di Dio.

I Profeti avevano annunziato questo Regno, e le loro parole continuavano a vivere nelle menti degli uomini, formando così il contenuto essenziale del loro pensiero religioso.

L'attesa di un ordine nuovo, stabilito da Dio stesso e prossimo a venire, e la concentrazione di ogni azione e di tutti i pensieri sull'imminente avvento del Regno di Dio, rendono l'insegnamento di Gesù completamente negativo.

Egli rifiuta tutto l'esistente senza offrire nulla in sua sostituzione.

Arriva a pretendere lo scioglimento di tutti i legami sociali esistenti.

Il discepolo non deve essere semplicemente indifferente nei confronti del suo stesso sostentamento, non deve astenersi semplicemente dal lavoro e disfarsi di tutti i propri beni, ma deve odiare "padre e madre e moglie e figli, i fratelli e le sorelle e perfino la propria vita" (Luca, 14, 26).

Gesù è in grado di tollerare le leggi terrene dell'impero romano e le prescrizioni della legge ebraica, perché è indifferente a esse, disprezzandole come cose importanti solo nell'ambito di ristretti limiti temporali, e non perché egli riconosca il loro valore.

Il suo zelo nel distruggere i legami sociali non conosce limiti.

La purezza e la forza di questa dottrina assolutamente negativa si fondano su una ispirazione estatica e sulla speranza entusiastica in un mondo nuovo.

Da qui il suo appassionato attacco contro tutto ciò che esiste.

Tutto può venire distrutto, poiché Dio, nella sua onnipotenza, ricostruirà l'ordine futuro.

Non c'è bisogno di darsi da fare per sapere se qualcosa del vecchio mondo debba essere portato nel nuovo, perché questo nuovo mondo sorgerà senza l'aiuto dell'uomo.

Ai seguaci di questa dottrina non è richiesto nessun sistema etico né alcuna particolare condotta in un qualche senso positivo.

La fede e solo la fede, la speranza, l'attesa; queste erano le sole cose necessarie all'uomo.

Questi non deve essere in nessun modo parte attiva nell'edificazione del futuro, poiché Dio stesso vi provvederà.

Il più chiaro parallelo moderno all'atteggiamento di completa negazione tipico del cristianesimo primitivo è il bolscevismo.

Anche i bolscevichi desiderano distruggere tutto ciò che esiste, perché lo considerano irrimediabilmente cattivo.

Essi hanno però in mente idee, per quanto indefinite e contraddittorie, riguardo al futuro ordine sociale.

Essi esigono non solo che i loro seguaci distruggano tutto ciò che esiste, ma anche che perseguano una definita linea di condotta indirizzata al raggiungimento del regno futuro da loro sognato.

L'insegnamento di Gesù, sotto questo aspetto, è invece semplicemente negazione.

Gesù non era un riformatore sociale.

I suoi insegnamenti non avevano nessuna applicazione morale alla vita terrena, le sue istruzioni ai discepoli hanno un significato unicamente alla luce del loro scopo immediato: attendere il Signore "con la cintura ai fianchi e le lucerne accese, per aprirgli subito, appena arriva e bussa" (Luca, 12, 35-36).

È proprio questo che ha permesso al cristianesimo di fare la sua trionfale avanzata nel mondo.

Essendo neutrale rispetto a ogni sistema sociale, esso è stato in grado di attraversare i secoli senza essere distrutto dalle tremende rivoluzioni sociali che hanno avuto luogo.

Solo per questa ragione esso potè diventare la religione degli imperatori romani e degli imprenditori anglosassoni, dei negri africani e dei teutoni europei, dei signori feudali del Medioevo e dei moderni operai dell'industria.

Ogni epoca e ogni partito hanno potuto attingere dal Cristianesimo ciò che desideravano, perché esso non contiene nulla che lo leghi a un determinato ordine sociale.


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