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80 - I MERITI DELL'ECONOMIA E I SUOI LIMITI

Aggiornamento: 7 set 2022

Da “L’Azione Umana” di Ludwig von Mises, 1949, Introduzione, pag.52-54


Nessuna delle grandi invenzioni moderne sarebbe stata messa in uso se la mentalità dell’epoca pre-capitalista non fosse stata completamente demolita dagli economisti.

Quella che è comunemente chiamata “rivoluzione industriale“ è stata il risultato della rivoluzione ideologica determinata dalle dottrine degli economisti, che hanno abbattuto vecchie credenze.

Quelle stando alle quali non è bello nè giusto eliminare un concorrente producendo beni migliori e più a buon mercato; che giudicano iniquo soppiantare i metodi di produzione tradizionali; che vedono nelle macchine un male, la causa della disoccupazione; che attribuiscono al governo il compito di impedire agli uomini di affari efficienti di diventare ricchi; che proteggono i meno efficienti dalla concorrenza dei più efficienti; che impongono la restrizione della libertà di impresa mediante la coercizione governativa o di altri poteri sociali ritenuti il mezzo appropriato per promuovere il benessere di una nazione.

L’economia politica inglese e la fisiocrazia francese sono state precorritrici del moderno capitalismo.

Esse hanno reso possibile il progresso di quelle scienze naturali applicate che hanno portato tanti benefici alle masse.

Ciò che è errato nella nostra epoca è la diffusa ignoranza della funzione che queste politiche di libertà economica hanno avuto nell’evoluzione della tecnica degli ultimi due secoli.

La gente incorre nell’errore di giudicare come qualcosa di accidentale il miglioramento dei metodi di produzione; non si rende conto che ciò è avvenuto contemporaneamente all’adozione della politica del laissez-faire.

Illusi dal mito di Marx, molti vedono nel moderno industrialismo il risultato dell’azione di misteriose “forze produttive“, assolutamente indipendenti da fattori ideologici. Credono che l’economia classica non sia stata un fattore dell’affermazione del capitalismo, ma piuttosto il suo prodotto, la sua “sovrastruttura ideologica“, cioè una dottrina finalizzata a difendere le inique pretese degli sfruttatori capitalisti.

Di qui la conclusione che l’abolizione del capitalismo e la sostituzione dell’economia di mercato e della libera impresa con il totalitarismo socialista non pregiudicherebbero l’ulteriore progresso della tecnologia.

Al contrario, ciò promuoverebbe il miglioramento tecnologico, rimuovendo gli ostacoli che gli interessi egoistici dei capitalisti pongono sulla via da perseguire.

Il tratto caratteristico di questa epoca di guerre distruttive e di disintegrazione sociale è la rivolta contro l’economia.

Thomas Carlyle ha a suo tempo bollato l’economia con il nome di “scienza triste“ e Karl Marx ha presentato gli economisti come “sicofanti della borghesia“.

Ciarlatani di ogni tipo - lodando le loro specialità farmaceutiche e le loro scorciatoie al paradiso terrestre - hanno piacere di disprezzare l’economia, presentandola come “ortodossa“ e “reazionaria.“

I demagoghi sono orgogliosi di quelle che essi chiamano vittorie sulla teoria economica.

L’uomo “pratico“ si vanta di rifiutare l’economia e di ignorare l’insegnamento degli economisti “da salotto“.

Le politiche economiche degli ultimi decenni sono state il prodotto di una mentalità che si fa beffe di ogni sana teoria economica e glorifica le spurie dottrine dei suoi detrattori.

L’economia “ortodossa“ è in molti paesi bandita dalle università e di fatto sconosciuta agli statisti, ai politici e agli scrittori preminenti.

La responsabilità della insoddisfacente condizione economica non può pertanto essere attribuita alla scienza che entrambi, reggitori e masse, disprezzano e ignorano.

Occorre rendersi conto che il destino della civiltà moderna, così come si è sviluppata ad opera dei popoli bianchi nei due ultimi secoli, è inseparabilmente legato al destino della scienza economica.

Questa civiltà è stata in grado di affermarsi, perché la gente è stata dominata da idee che sono state l’applicazione dell’insegnamento dell’economia ai problemi di politica economica.

Se le nazioni continueranno sulla via intrapresa, seguendo le dottrine che rigettano il pensiero economico, tale civiltà non potrà che perire.

È vero che l’economia è una scienza teorica e come tale si astiene da ogni giudizio di valore.

Non è suo compito dire alla gente quali fini devono essere perseguiti.

Essa è scienza dei mezzi da utilizzare per il raggiungimento di dati scopi e non certamente scienza della scelta dei fini.

Le decisioni ultime, le valutazioni e la scelta delle finalità sono al di là dell’ambito di ogni scienza.

La scienza non dice mai all’uomo come dovrebbe agire; semplicemente mostra come un uomo deve agire se desidera raggiungere certi scopi.

A molti ciò sembra poca cosa.

E sembra che una scienza che si limita a indagare su quel che è, che non è in grado di esprimere un giudizio di valore sui fini più elevati e ultimi, non abbia importanza per la vita e per l’azione.

Anche questo è un errore.

Ma la confutazione di tale errore non è compito di queste osservazioni introduttive. Essa costituisce una delle finalità del trattato stesso.

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