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30 - RECESSIONE INFLAZIONISTICA E TEORIA AUSTRIACA

RECESSIONE INFLAZIONISTICA E TEORIA AUSTRIACA

da "La Grande Depressione" di Murray N. Rothbard, 1963, Introduzione alla seconda edizione (1971), pag.17-19


Una caratteristica dell'attuale recessione, che è stata particolarmente spiacevole e sorprendente, sta nel fatto che, durante il suo decorso, i prezzi dei beni di consumo hanno considerevolmente continuato ad aumentare.

Nel ciclo classico, i prezzi scendono durante le recessioni o depressioni; e questo declino è il benvenuto vantaggio di cui il consumatore può beneficiare in tali periodi.

Nella recessione attuale, anche questo vantaggio è tuttavia venuto meno e il consumatore subisce così una combinazione delle peggiori caratteristiche della recessione e dell'inflazione.

La consolidata scuola keynesiana e la contemporanea scuola monetarista non sono state in grado di anticipare questo fenomeno di "recessione inflazionistica", né tanto meno possono fornirne una spiegazione soddisfacente.

Al contrario, la teoria "austriaca" contenuta in questo libro non solo lo spiega, ma dimostra anche che esso costituisce una tendenza generale e universale delle recessioni.

L'essenza della recessione, come evidenzia la teoria austriaca, consiste in un riaggiustamento dell'economia, che si libera delle distorsioni createsi durante il periodo di boom, in particolare dell'eccessiva espansione nel settore dei beni capitali di ordine superiore e del sottoinvestimento nella produzione di beni di consumo.

Uno dei modi in cui il mercato trasferisce risorse dalla sfera dei beni capitali a quella dei beni di consumo è il declino relativo dei prezzi dei beni del primo tipo e l'aumento di quelli del secondo tipo.

I fallimenti e le contrazioni dei prezzi relativi e dei salari nei settori in cui si producono beni capitali, caratterizzati da investimenti erronei e gonfiati, riorienteranno terra, lavoro e capitale verso la produzione di beni di consumo, ristabilendo così l'efficiente reattività alla domanda dei consumatori, che è la condizione normale di un'economia di mercato libera da interferenze.

In breve, i prezzi dei beni di consumo tendono sempre, durante le recessioni, ad aumentare rispetto ai prezzi dei beni di produzione.

La ragione per cui questo fenomeno non è stato notato in passato è che nelle recessioni precedenti i prezzi sono generalmente scesi.

Per esempio, se i prezzi dei beni di consumo diminuiscono del 10% e il prezzo del cemento scende del 20%, nessuno si preoccupa dell'inflazione prodottasi durante la recessione; ma in realtà, anche in questo caso, i prezzi dei beni di consumo sono aumentati in termini relativi rispetto ai prezzi dei beni di produzione.

In via generale, i prezzi diminuivano durante le recessioni, perché la deflazione monetaria e bancaria era solitamente un'invariabile caratteristica delle contrazioni economiche.

E tuttavia, negli ultimi decenni, la deflazione monetaria è stata evitata rigorosamente tramite l'espansione del credito e la manovra delle riserve bancarie operate dal governo, sicché il fenomeno di un reale declino dell'offerta di moneta è diventato, nella migliore delle ipotesi, un vago ricordo.

Risultato dell'abolizione della deflazione da parte del governo è che i prezzi non diminuiscono più, nemmeno nel corso delle recessioni.

Di conseguenza, l'aggiustamento tra beni di consumo e beni capitali, che deve avvenire durante tali periodi, deve ora avere luogo senza il velo pietoso della deflazione.

Pertanto, i prezzi dei beni di consumo aumentano ancora in termini relativi, ma ora in mancanza di una deflazione generale, devono aumentare anche in termini assoluti e visibili.

La politica del governo di intervenire per evitare la deflazione monetaria ha quindi privato il pubblico di un grande vantaggio prodotto dalle recessioni: la diminuzione del costo della vita.

L'intervento governativo contro la deflazione ci ha portato allo sgradito fenomeno della recessione inflazionistica.

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