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101 - PERCHÉ GLI IMPRENDITORI DIVENTANO NEMICI DEL CAPITALISMO

Da “Socialismo”, di Ludwig von Mises, 1922, pag. 537-538


Poiché il sistema capitalistico non crea fonti permanenti di reddito, l’imprenditore non è in grado di garantire alcunché a nipoti e pronipoti.

Ogni patrimonio deve essere riguadagnato con fatica.

Quando il signore feudale difendeva il proprio sistema sociale, tutelava non solo la sua proprietà, ma anche quella dei suoi discendenti.

L’imprenditore di una società capitalistica sa invece che i suoi figli e nipoti riusciranno a superare la nuova concorrenza soltanto se saranno capaci di gestire l’impresa ereditata.

Se si preoccupa per il destino dei suoi successori, e vuole consolidare la proprietà da lasciare alla propria famiglia in modo contrario agli interessi della comunità, deve divenire un nemico della società capitalistica: deve cioè chiedere ogni sorta di limitazione della concorrenza.

A patto che il mutamento non sia improvviso e che egli si possa aspettare un indennizzo con cui, per un tempo più o meno lungo, possa godere di un reddito sicuro e sottrarsi all’incertezza e ai rischi tipici dell’attività imprenditoriale, anche la strada del socialismo potrebbe apparirgli come il mezzo migliore per realizzare il suo scopo.

L’attaccamento alle proprie fortune, e a quelle dei propri eredi, potrebbe perciò spingerlo fra le braccia del socialismo piuttosto che fra quelle dei suoi oppositori.

E potrebbe accogliere con favore tutti quei provvedimenti che mirano a rendere impossibili fortune di nuova creazione e di nuovo sviluppo, soprattutto quelle misure dirette a limitare in qualunque modo la libertà economica.

Proprio in tal modo potrebbe infatti essere sicuro di quel reddito che, fino a quando la concorrenza non viene limitata e non vengono esclusi nuovi competitori, deve essere conseguito tramite il confronto quotidiano.

Gli imprenditori hanno interesse ad associarsi per procedere uniti nelle negoziazioni che li vedono impegnati a definire con i sindacati operai i vari livelli salariali.

E hanno interesse ad associarsi sia per chiedere l’introduzione di tariffe e di altre restrizioni che confliggono con la natura e i principi del liberalismo, sia per opporsi a interventi del governo che possano danneggiarli.

Ma non hanno alcun particolare interesse a combattere il socialismo e la statalizzazione in quanto tali.

Non hanno particolare interesse a lottare contro il distruttivismo.

L’unico scopo dell’imprenditore è quello di adattarsi alle contingenze economiche del momento.

Il suo obiettivo non è lottare contro il socialismo, ma adattarsi alle condizioni create dalla politica della statalizzazione.

Non ci si può aspettare che, contravvenendo al proprio interesse, gli imprenditori o altri specifici gruppi sociali adottino come propria massima i principi generali del benessere.

Le esigenze della vita li costringono a fare il meglio in ogni data circostanza.

Non è compito degli imprenditori guidare la lotta politica contro il socialismo; tutto ciò che li riguarda è adattare se stessi e le proprie aziende alle situazioni generate dai provvedimenti di statalizzazione, in maniera tale che, nelle condizioni in cui si trovano, possano realizzare il maggiore profitto.

La conseguenza è perciò che nè le associazioni imprenditoriali, nè le organizzazioni nate con il sostegno degli imprenditori sono propense a lottare in via di principio contro il socialismo.

L’imprenditore, l’uomo che coglie l’opportunità del momento, è poco interessato all’esito di una secolare lotta, di durata indefinita.

Suo esclusivo interesse è adattarsi alle circostanze nelle quali si trova.

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