Da "Socialismo", di Ludwig von Mises, 1922, pag.493-495
Per il socialista, l’avvento del socialismo significa il passaggio da un’economia irrazionale ad una razionale.
Sotto il socialismo, l’anarchia della produzione viene sostituita da una conduzione pianificata della vita economica; la società, concepita come incarnazione della ragione, prende il posto dei contrastanti scopi di individui irragionevoli ed egoisti.
Una giusta distribuzione dei beni rimpiazza un’ingiusta distribuzione.
Bisogno e miseria svaniscono, c’è ricchezza per tutti.
L’immagine del paradiso si pone dinanzi ai nostri occhi, un paradiso di cui - così ci dicono le leggi dello sviluppo storico - noi, o perlomeno i nostri successori, dovremmo alla lunga beneficiare.
Tutta la storia conduce infatti verso quella terra promessa , e ciò che è accaduto nel passato ha preparato la strada verso la salvezza.
I nostri contemporanei vedono in tal modo il socialismo, e credono nella sua superiorità.
Sarebbe falso ritenere che l’ideologia socialista domini esclusivamente quei partiti che si autoproclamano socialisti o - parola a cui viene generalmente attribuito lo stesso significato - “sociali“.
Tutti gli attuali partiti politici sono saturi delle principali idee socialiste.
Perfino i più accaniti avversari del socialismo ne subiscono l’influenza.
Anche loro sono convinti che l’economia socialista sia più razionale di quella capitalistica; pensano che essa possa garantire una più giusta distribuzione dei redditi e che lo sviluppo storico stia inesorabilmente portando l’uomo verso quella destinazione.
Quando si oppongono al socialismo, lo fanno con la sensazione di difendere interessi privati egoistici e di combattere contro quello sviluppo che dal punto di vista del benessere pubblico è desiderabile, ed è basato sul solo principio eticamente accettabile.
Nell’intimo, sono convinti che la loro opposizione sia senza speranza.
Malgrado ciò, l’idea socialista non è altro che una grandiosa razionalizzazione di gretti risentimenti.
Nessuna delle sue teorie può resistere a una critica scientifica, e tutte le sue conclusioni sono mal fondate.
La sua interpretazione dell’economia capitalistica è stata dimostrata falsa già da lungo tempo; il suo piano per un futuro ordine sociale è intrinsecamente contraddittorio e, per questa ragione, impraticabile.
Il socialismo non è solamente incapace di realizzare una vita economica più razionale, ma conduce pure alla totale soppressione della cooperazione sociale.
L’affermazione secondo cui esso porterebbe al trionfo della giustizia è semplicemente qualcosa di arbitrario, derivante - come possiamo mostrare - dal risentimento e dalla manipolata rappresentazione di ciò che ha luogo sotto il capitalismo.
Che lo sviluppo storico non ci lasci altra alternativa all’infuori del socialismo, è una profezia che differisce dei sogni chiliastici delle sette dei primi cristiani solo nella pretesa di chiamarsi “scienza“.
Il socialismo non è in realtà quello che pretende di essere.
Non è l’araldo di un mondo migliore e più bello, ma il predatore di ciò che migliaia di anni di civiltà hanno creato.
Il socialismo non costruisce; distrugge.
La distruzione è in effetti la sua essenza.
Esso non produce nulla, dissipa ciò che la società basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione ha creato.
Considerato che un ordine socialista della società può esistere solo come frammento di socialismo all’interno di un economia peraltro basata sulla proprietà privata, ogni passo verso la società socialista deve coincidere con la distruzione di ciò che già esiste.
Una politica distruttivistica equivale alla dissipazione del capitale.
A rendersene conto, sono soltanto in pochi.
La dissipazione del capitale può essere rilevata mediante la lettura delle statistiche, e può essere spiegata concettualmente, ma non è evidente a ognuno.
Per vedere la debolezza di una politica che accresce il consumo delle masse a discapito del capitale esistente, sacrificando in tal modo il futuro al presente, e per riconoscere la natura di tale politica, abbiamo bisogno di una prospettiva più profonda di quella di cui sono muniti gli uomini di governo, i politici o le masse che li hanno portati al potere.
Finché i muri degli stabilimenti industriali resteranno in piedi e i treni continueranno a circolare, si suppone che il mondo andrà avanti.
Le crescenti difficoltà di conservare i più alti livelli di vita sono attribuiti a varie cause, mai però al fatto che si sta seguendo una politica di dissipazione del capitale.
Nel problema della dissipazione delle risorse creato da una società distruttivistica, troviamo una delle principali questioni della politica economica del socialismo.
Il pericolo della distruzione del capitale è particolarmente grande in una comunità socialista; incrementando il consumo pro capite a scapito della formazione di nuovo capitale e a detrimento del capitale esistente, il demagogo raggiunge il successo molto facilmente.
È nella natura della società capitalistica che nuovo capitale si formi continuamente.
Maggiore è il capitale disponibile, più elevata è la produttività marginale del lavoro e più alti sono perciò i salari assoluti e relativi
La progressiva formazione del capitale è l’unico mezzo per aumentare, senza che nel futuro la produzione debba decrescere, la quantità di prodotti che la società può consumare annualmente, l’unica via per incrementare il consumo dei lavoratori, senza danneggiare le generazioni future.
È questa la ragione per la quale i liberali vedono nella progressiva formazione del capitale il solo modo attraverso cui può essere permanentemente migliorata la condizione delle grandi masse.
Il socialismo e il distruttivismo cercano di raggiungere detto obiettivo seguendo una strada diversa.
Essi propongono di utilizzare il capitale in maniera tale da poter vivere bene oggi a scapito dell’avvenire.
La politica del liberalismo è il comportamento del padre di famiglia prudente, che risparmia e costruisce così per se stesso e per i suoi successori.
La politica del distruttivismo è quella del dissipatore, che sperpera ciò che ha ereditato, incurante del futuro.
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