Da “Liberalismo”, di Ludwig von Mises, 1927, pag. 158-161
Abbiamo già visto nelle pagine precedenti come la pace all’interno degli Stati sia possibile solamente se una costituzione democratica garantisce l’adeguamento senza attriti del sistema dominante alla volontà dei cittadini.
Per assicurare anche la pace internazionale non c’è che da applicare coerentemente questi stessi principi.
I vecchi liberali pensavano che i popoli fossero pacifici per natura, e che soltanto i despoti volessero la guerra per accrescere la loro potenza e le loro ricchezze con la conquista di nuove province.
Essi perciò ritenevano che fosse sufficiente sostituire il dominio dei despoti con governi voluti dal popolo per assicurare automaticamente una pace duratura.
Quando poi lo Stato democratico si accorge che i confini nazionali che si sono andati configurando nel corso della storia e che esistono al momento del passaggio al liberalismo non corrispondono più alla volontà politica dei cittadini, quei confini debbono essere pacificamente modificati sulla base dei risultati di plebisciti che esprimono la volontà dei cittadini.
Qualora si sia chiaramente manifestata la volontà degli abitanti di una parte del paese di unirsi a uno Stato diverso da quello di appartenenza, deve esserci la possibilità di spostare i confini di uno Stato.
Nei secoli XVII e XVIII gli Zar russi incorporarono nel loro impero vasti territori le cui popolazioni non avevano mai desiderato far parte insieme ai russi di una comune compagine statale.
La loro rivendicazione democratica infatti era la secessione dall’impero russo e la formazione di uno Stato autonomo, a seconda dei casi polacco, finnico, lettone, lituano e via dicendo.
Proprio la circostanza che le rivendicazioni e le aspirazioni analoghe di altri popoli (italiani, tedeschi dello Schleswig-Holstein, slavi e magiari dell’impero asburgico) non potevano essere soddisfatte se non con la guerra, fu la causa principale di tutte le guerre combattute in Europa dal congresso di Vienna in poi.
Il diritto di autodeterminazione, in ordine alla questione dell’appartenenza a uno Stato, significa dunque questo: che se gli abitanti di un territorio - si tratti di un singolo villaggio, di una regione o di una serie di regioni contigue - hanno espresso chiaramente attraverso libere votazioni il desiderio di non rimanere nella compagine statale cui attualmente appartengono e la volontà di costituire un nuovo Stato autonomo, o l’aspirazione ad appartenere a un altro Stato, di questo desiderio bisogna tenere conto.
Solo questa soluzione può evitare guerre civili, rivoluzioni e guerre internazionali.
Si fraintende questo diritto di autodeterminazione quando lo si definisce “diritto di autodeterminazione delle nazioni“, giacché non si tratta del diritto di autodeterminazione di una unità nazionale compatta, ma della decisione che gli abitanti di un certo territorio devono prendere circa la compagine statale cui vogliono appartenere.
Ancora più grave è il fraintendimento quando questo diritto di autodeterminazione come diritto “delle nazioni“ viene addirittura inteso, come di fatto è accaduto, nel senso che a uno Stato nazionale si dà il diritto di separare parti di nazione che appartengono ad un altro territorio statale ed incorporarle, contro la loro volontà, nel proprio Stato.
I fascisti italiani, per esempio, fanno discendere dal diritto di autodeterminazione delle nazioni la rivendicazione della secessione del Canton Ticino e di parti di altri cantoni dalla Svizzera per unirli all’Italia, anche se gli abitanti di questi cantoni non lo desiderano affatto.
Analoga è la posizione di una parte dei pantedeschi nei riguardi della Svizzera tedesca e dei Paesi Bassi.
Il diritto di autodeterminazione di cui parlo non riguarda quindi le nazioni, ma gli abitanti di qualunque territorio abbastanza grande da formare un distretto amministrativo autonomo.
Se, al limite, fosse possibile concedere a ogni singolo cittadino questo diritto di autodeterminazione, bisognerebbe farlo.
Solo perché non lo si può fare praticamente per insormontabili ragioni tecniche amministrative, le quali esigono che l’amministrazione statale di un territorio abbia un ordinamento unitario, solo per questo è necessario limitare il diritto di autodeterminazione alla volontà maggioritaria degli abitanti di territori abbastanza grandi da potersi presentare come unità geografiche in un ambito politico amministrativo nazionale.
Il fatto che il diritto di autodeterminazione - finché ha potuto essere esercitato e dovunque si sarebbe dovuto permettere che lo fosse - abbia o avrebbe portato nel XIX e nel XX secolo alla formazione di Stati nazionali e alla disintegrazione degli Stati plurinazionali, è scaturito dalla libera volontà dei cittadini chiamati a decidere attraverso i plebisciti.
La formazione di Stati comprendenti tutti i cittadini di una nazione fu il risultato del diritto di autodeterminazione, non il suo scopo.
Se una parte del popolo preferisce formare un’entità statale autonoma o stare in una confederazione statale insieme ai cittadini di altre nazioni anziché nello Stato unitario nazionale, si può certamente tentare con la propaganda di indurlo ad accettare l’ideologia dello Stato nazionale unitario per dare una forma diversa alle sue aspirazioni politiche.
Ma se si vuole condizionare il suo destino contro la sua volontà appellandosi al superiore diritto della nazione, ciò costituisce una violazione del diritto di autodeterminazione non diversa da qualsiasi altra forma di oppressione.
Una divisione della Svizzera tra Germania, Francia e Italia, anche se avvenisse rispettando esattamente i confini linguistici, sarebbe una pesante violazione del diritto di autodeterminazione, come lo fu la spartizione della Polonia.
Comments