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62 - L'ECONOMIA AUSTRIACA E GLI INVESTIMENTI FINANZIARI - parte prima

di Guglielmo Piombini, da vonmises.it, marzo 2016


L’investitore è un giocatore d’azzardo?

Lo studio dell’economia austriaca può aiutare a prendere le corrette decisioni economiche nella vita di tutti i giorni? Più in generale, la conoscenza della teoria economica può migliorare la gestione delle finanze personali, o aiutare a scegliere i migliori investimenti? Su questo punto vi sono divergenze d’opinione. Secondo una prima visione, preferita in particolar modo dagli economisti keynesiani, è impossibile prevedere le future quotazioni finanziarie perché i mercati sono per natura irrazionali. Keynes stesso era un forte speculatore, ma considerava la borsa alla stregua di un casinò e affermava: «Il fatto che la nostra conoscenza del futuro sia fluttuante, vaga e incerta rende la ricchezza un soggetto particolarmente inadatto ai metodi della teoria economica classica. Non esiste alcuna base scientifica per formarsi un qualche calcolo di probabilità. Semplicemente non ne sappiamo nulla» [1].

Se non possiamo ottenere alcuna conoscenza del futuro dei mercati, allora tanto vale scegliere a caso i titoli su cui investire. Il metodo casuale d’investimento è stato perfino teorizzato da Burton G. Malkiel in un libro molto popolare, A Random Walk Down Wall Street, dove si può leggere: «L’investimento casuale si basa sul presupposto che i cambiamenti di breve periodo dei prezzi delle azioni non possono essere previsti. I servizi di consulenza finanziaria, le previsioni di guadagno e altri complicati schemi d’investimento sono quindi inutili. Portato alle sue logiche conseguenze, questo significa che una scimmia bendata che lancia le freccette su un giornale finanziario potrebbe selezionare un portafoglio valido quanto quello preparato dall’analista più esperto» [2].

Questa teoria non è ovviamente molto apprezzata a Wall Street, ma un certo numero di economisti. Paul Samuelson ha fatto l’elogio del libro di Malkiel, arrivando a regalarne una copia a ciascuno dei suoi figli; anche William J. Baumol e Alan S. Blinder sostengono nel loro diffuso manuale di economia che esiste una massa di prove empiriche a favore dell’imprevedibilità dei prezzi dei titoli finanziari [3].

Il fallimento dei modelli econometrici

A questa concezione se ne contrappone una opposta, sostenuta generalmente dagli economisti neoclassici, secondo cui l’andamento dei mercati finanziari può essere previsto se si possiedono tutte le informazioni rilevanti. Questa teoria ritiene che i mercati siano estremamente efficienti nel raccogliere e convogliare tutte le informazioni utili, per cui in un mercato ben funzionante e in equilibrio i margini di profitto dalla compravendita delle azioni sono bassi, e tendono allo zero. “Tu non puoi saperne più del mercato”, sembra essere lo slogan di questa scuola del “mercato efficiente”, che gode di un certo consenso. A ben guardare, questa teoria non è altro che il modello neoclassico della concorrenza perfetta applicato al mondo finanziario.

Gli investitori che seguono questa visione ritengono che i mercati siano totalmente razionali, prevedibili e meccanicamente precisi. Credono fortemente che vi sia una diretta correlazione tra gli eventi passati e quelli futuri, e tutto starebbe nel raccogliere il maggior numero di dati. Molti di loro sono dei positivisti, sostenitori dei metodi delle scienze fisiche applicati all’economia, o degli econometristi che amano applicare i modelli matematici e statistici all’economia. Inevitabilmente arrivano a conclusioni deterministe, ad esempio che sarebbe possibile diventare ricchi acquisendo più informazioni degli altri, grazie magari a dei cervelli elettronici capaci di simulare perfettamente il mercato.

Nel 1991 due scienziati, J. Doyne Farmer e Norman Packard, svilupparono un complesso programma informatico e fondarono una società, la Prediction Company di Santa Fe, per “sbancare Wall Street”. Ogni giorno i dati delle principali piazze finanziarie raggiungevano i loro potentissimi computer, che in meno di un minuto elaboravano previsioni ed effettuano scambi con le banche. In questo modo accumularono una quantità enorme di dati storici sui mercati, che cercavano di proiettare nel futuro in base a certi complessi algoritmi. La Swiss Bank gli forniva i soldi in cambio di una parte di utili. Nel 1995, interrogati sui loro risultati, dissero che «bisognerà aspettare ancora un paio d’anni per capire come butta» [4]. La società è stata poi ceduta prima alla banca svizzera UBS e poi a una società d’investimento, ma non risulta che Farmer e Packard siano diventati ricchi come speravano.

Un caso spettacolare di fallimento dei modelli previsionali computerizzati si ebbe nel 1998 con il crollo del fondo speculativo Long-Term Capital Management (LTCM), il quale aveva nel suo consiglio d’amministrazione i migliori broker di Wall Street, i migliori matematici e i due economisti premi Nobel, Robert C. Merton e Myron Scholes, i quali avevano creato i modelli matematici su cui si basavano le attività speculative del fondo. Solitamente nelle attività speculative a rischi maggiori corrispondono ritorni maggiori. Il dream team di professori e di investitori della LTCM pensavano però, grazie ai propri modelli, di poter eliminare i rischi generando al contempo elevati profitti. All’inizio il gioco sembrava funzionare, e nei suoi primi quattro anni arrivarono a realizzare utili superiori al 40 per cento. Ad un certo punto il fondo arrivò ad avere un’esposizione di un trilione di dollari. Verso la fine degli anni ’90 giunsero però, in rapida successione, la crisi asiatica e il default della Russia. Le intricate equazioni e i complessi modelli matematici utilizzati da LTCM non riuscirono a mantenere il passo con questi cambiamenti inaspettati, e tutto crollò come un castello di carte. La Federal Reserve intervenne con un salvataggio dall’esterno (bail out). Questo fragoroso fallimento avrebbe dovuto rappresentare un monito per tutti coloro che continuano a considerare l’economia come una scienza fisica, quantitativa e misurabile.

Il ruolo dello speculatore

Sia la teoria secondo cui non è possibile avere alcuna conoscenza del futuro dei mercati, sia la teoria secondo cui si può ottenerne una conoscenza quasi perfetta grazie ai computer, alle equazioni o ai modelli matematici, peccano di unilateralità e presentano problemi evidenti. Non si può negare, infatti, che vi siano degli investitori finanziari (come John Templeton, Arnold Bernhard, Warren Buffett, George Soros) che hanno messo a frutto le loro superiori capacità in questo campo mantenendo un’alta media di guadagno per quasi tutta la loro carriera: dunque si possono fare profitti elevati e continuati nel mercato finanziario, e la cosa non può essere casuale. D’altra parte, l’idea che il mercato incorpori una conoscenza perfetta non spiega come mai tutti i più sofisticati modelli econometrici non siamo mai stati in grado di prevedere in anticipo l’arrivo di tutte le recenti crisi finanziarie.

Molto più ragionevole è allora la teoria intermedia, sostenuta dagli economisti di scuola austriaca, secondo cui è possibile avere una qualche cognizione, benché limitata, dell’andamento dei mercati. La conoscenza dei mercati non può mai essere perfetta, ma neanche totalmente imperfetta; gli eventi economici e i prezzi degli investimenti non sono sempre prevedibili, ma a volte sono abbastanza prevedibili; i mercati non sono totalmente efficienti, ma neanche completamente inefficienti.

La Scuola Austriaca adotta la ragionevole posizione mediana secondo cui la conoscenza umana è per sua natura imperfetta, ma è migliorabile con le prove e l’esperienza. L’attività economica e speculativa si basa infatti sull’azione umana. Le persone, a differenza di quello che credono i neoclassici, i positivisti e gli econometristi, non agiscono come macchine, perché dispongono del libero arbitrio. Possono imparare dagli errori e modificare i propri comportamenti. Per questo i trend passati tendono a volte a ripetersi, ma mai nella stessa identica maniera.

Spetta allo speculatore il ruolo chiave di prevedere questi cambiamenti dei mercati finanziari. Lo speculatore, infatti, è un imprenditore più che un economista, un uomo d’azione più che un teorico, perché la sua attività si fonda essenzialmente sulla capacità di prevedere eventi non determinabili a priori. L’investitore si occupa delle condizioni incerte del futuro, e la sua unica fonte di profitti è la sua abilità ad anticipare meglio di altri la domanda del pubblico. Come spiega Ludwig von Mises ne L’azione umana, questa comprensione anticipatrice delle condizioni del futuro incerto sfida qualsiasi regola di sistematizzazione, e non può essere insegnata né appresa. Ciò che distingue gli investitori di successo dagli altri è precisamente il fatto che essi non si lasciano guidare da ciò che è stato e da ciò che è, ma conducono i propri affari in base alla loro opinione del futuro. Essi vedono il passato e il presente come gli altri, ma giudicano il futuro in modo differente. Le loro azioni sono dirette da un’opinione del futuro differente da quella della massa [5].

Un buon analista finanziario, quindi, deve essere dotato non solo di competenze sulle condizioni della domanda e dell’offerta nei mercati, ma anche di un certo “intuito” o fiuto imprenditoriale, che fa di questo lavoro un’arte più che una scienza. È questa la ragione per cui i grandi economisti non si sono mai arricchiti grazie ai mercati finanziari: due attuali premi Nobel come Paul Samuelson e Milton Friedman si rifiutano per principio di dare consigli sugli investimenti; John Maynard Keynes, considerato un abile investitore, ebbe in realtà numerosi rovesci, e perse tre quarti della sua ricchezza nella crisi del 1929 e due terzi nella crisi del 1937 [6]; la madre di Karl Marx, grande sperperatore di fortune in borsa, esprimeva il desiderio che «Karl accumulasse il capitale, invece di scriverne soltanto» [7]; Ludwig von Mises disse a sua moglie prima di sposarsi: «Se desideri un uomo ricco, non sposarmi. Non sono interessato a guadagnare denaro. Io scrivo sul denaro, ma non ne avrò mai molto» [8].

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NOTE

[1] John Maynard Keynes, “The General Theory of Employment”, Quarterly Journal of Economics, febbraio 1937, in The Collected Writings of John Maynard Keynes, London, MacMillan, 1983, vol. 14, p. 114.

[2] Burton G. Malkiel, A Random Walk Down Wall Street, New York, Norton, 1985, p. 17 (trad. It. A spasso per Wall Street. Tutti i segreti per investire con successo, Milano, Hoepli, 2004)

[3] William J. Baumol e Alan S. Blinder, Economics: Principles and Policy, New York, Harcourt, 1988.

[4] John Brockman, La terza cultura, Milano, Garzanti, 1995, p. 334.

[5] Ludwig von Mises, L’azione umana, Torino, Utet, 1959, pp. 280 e 560. La nuova traduzione di questo testo fondamentale è: Ludwig von Mises, L’azione umana, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016.

[6] Donald E. Mogridge, “Keynes as Investor”, in The Collected Writings of John Maynard Keynes, vol. 12.

[7] Paul Johnson, Gli intellettuali, Milano, Longanesi, 1989, p. 98.

[8] Margit von Mises, My Years with Ludwig von Mises, Cedar Falls, Center for Futures Education, 1984, p. 24.

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