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65 - L'AZIONE È SEMPRE ECONOMICA

Dalla prefazione di Lorenzo Infantino de "L'Azione Umana", di Ludwig von Mises, 1949, pag. 11-13


La decisione di Mises di porre in primo piano lo specifico dell'impianto teorico "austriaco" non è però una conseguenza della sola volontà di prendere le distanze dall'approccio walrasiano.

E' probabilmente dovuta anche all'esigenza di collocare la teoria dell'azione su basi diverse da quella su cui era stata posta da Max Weber.

Nelle varie edizioni di Human Action, l'argomento non viene affrontato.

Tuttavia, durante il semestre in cui Weber aveva insegnato a Vienna, Mises aveva avuto con lui un intenso scambio intellettuale, da cui aveva tratto il convincimento che al sociologo tedesco mancasse una compiuta conoscenza dell'economia in generale e della teoria soggettivistica in particolare.

E ciò lo ha spinto a dedicare, in aggiunta a varie citazioni e riferimenti, una parte consistente di un suo saggio alla valutazione critica della teoria weberiana dell'azione.

Avere cognizione dei punti su cui Mises ha dissentito da Weber è di grande utilità: perché permette di rendere palesi problemi teorici che non possono essere oscurati o lasciati nella penombra.

Il che consente una migliore comprensione delle ragioni che separano la tradizione "austriaca" dalle altre versioni dell'economia marginalista.

Conviene prendere avvio da un abbaglio a cui Weber non si è saputo sottrarre.

Egli ha ritenuto responsabile l'economia politica - compreso il marginalismo in tutte le sue declinazioni - di considerare la vita degli uomini come "l'oggetto della loro impresa", che si attua secondo un calcolo.

Weber non ha tenuto conto che all'interno dell'economia classica si trovano due distinte tradizioni e che la stessa cosa avviene all'interno dell'economia neoclassica.

Nell'uno e nell'altro caso, sono presenti infatti evoluzionismo e utilitarismo in senso stretto.

La posizione teorica di Bernard de Mandeville, David Hume e Adam Smith è diversa da quella di Jeremy Bentham e dei due Mill; e la stessa distanza separa Menger da Jevons e León Walras.

Non tutta l'economia politica opera con "l'homo economicus".

Quest'ultimo appartiene all'utilitarismo propriamente detto, e attribuisce la qualificazione economica all'azione che nasce dal "desiderio di accumulare ricchezze" e di "impiegare tali ricchezze per produrne altre".

Il che lascia pensare che, per eliminare ogni manifestazione economica, sia sufficiente controllare o reprimere il "desiderio di ricchezza".

Ma le cose stanno diversamente.

L'assenza di tale "desiderio" non ci sottrae al momento economico.

Questo costituisce la nostra condizione esistenziale.

È la scarsità che inevitabilmente caratterizza la nostra vita, perché c'è un permanente disequilibrio fra i nostri progetti e quanto l'ambiente esterno ci offre.

Ed è la conseguenza del fatto che "la necessità umana abbraccia indifferentemente quanto è oggettivamente necessario e quel che è superfluo".

L'azione non assume quindi la qualificazione economica per i fini che essa persegue (il "desiderio di ricchezza").

Lo fa per effetto della scarsità dei mezzi rispetto ai fini.

Ciò significa che la caratterizzazione economica non è conferita dalle finalità.

Essa deriva dall'insufficienza dei nostri mezzi e qualifica in tal modo ogni azione umana.

Si può soltanto distinguere quel che è economico in senso stretto da ciò che è economico in senso lato.

È economico In senso stretto quanto avviene nel territorio dello scambio monetario; è economico in senso lato quanto accade in ogni altro ambito.

Mises ha giustamente scritto: "Solo in una Cuccagna popolata da uomini immortali e indifferenti al passare del tempo, dove ogni uomo è sempre e dovunque perfettamente soddisfatto e completamente sazio, o in un mondo dove non può essere raggiunto un miglioramento della soddisfazione personale o i bisogni non si riproducono, non esiste quello stato di cose chiamato privazione".




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