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67 - LIBERTÀ LIBERALE E LIBERTÀ SOCIALISTA

da "La via della schiavitù" di Friedrich von Hayek, 1944, pag.69-73


Oggi di rado ci si rammenta che il socialismo, ai suoi inizi, fu chiaramente autoritario.

Gli scrittori francesi che posero le basi del socialismo moderno non avevano alcun dubbio che le loro idee potevano venire messe in pratica soltanto da un forte governo dittatoriale.

Per loro, il socialismo significava un tentativo di portare a termine la rivoluzione per mezzo di una intenzionale riorganizzazione della società progettata su basi gerarchiche e ad opera dell'imposizione di un "potere spirituale" coercitivo.

Per quel che concerneva la libertà, i fondatori del socialismo non nascosero affatto le loro intenzioni.

Essi vedevano nella libertà di pensiero il peccato originale della società del XIX secolo; e il primo dei moderni pianificatori, Saint-Simon, annunciava addirittura che quanti non avessero obbedito ai comitati per la pianificazione da lui proposti sarebbero stati "trattati come bestiame".

Soltanto sotto l'influsso delle forti correnti democratiche che precedettero la rivoluzione del 1848, il socialismo cominciò ad allearsi con le forze della libertà.

Ma il nuovo “socialismo democratico“ ebbe bisogno di molto tempo prima che venissero dimenticati i sospetti sorti in precedenza.

Nessuno meglio di Tocqueville vide chiaramente che la democrazia, quale istituzione essenzialmente individualista, era in conflitto irreconciliabile con il socialismo.

Egli disse nel 1848: "La democrazia estende la sfera della libertà individuale, il socialismo la restringe.

La democrazia attribuisce il massimo valore ad ogni singolo uomo, il socialismo fa di ogni singolo uomo solo una comparsa, soltanto un numero.

La democrazia e il socialismo non hanno in comune niente altro che una parola: eguaglianza.

Ma si noti la differenza: mentre la democrazia cerca l'eguaglianza nella libertà, il socialismo cerca l'eguaglianza nella restrizione e nella servitù".

Al fine di porre a tacere questi sospetti e di legare al suo carro la più forte di tutte le motivazioni politiche - l'anelito alla libertà - il socialismo cominciò a fare sempre di più uso della promessa di una "nuova libertà".

L'avvento del socialismo doveva costituire il salto dal regno della necessità al regno della libertà.

Esso doveva portare la "libertà economica", senza la quale la già raggiunta libertà politica non serve a niente.

Solo il socialismo sarebbe stato in grado di portare ad effetto l'antica lotta per la libertà, una lotta in cui il conseguimento della libertà politica era solo un primo passo.

Il sottile mutamento semantico subito dalla parola "libertà" affinché questa argomentazione apparisse plausibile è importante.

Per i grandi apostoli della libertà politica, la parola "libertà" aveva significato libertà dalla coercizione, libertà dal potere arbitrario di altri uomini, liberazione dalle catene che non lasciavano all'individuo nessun'altra scelta che l'obbedienza agli ordini di un superiore del quale egli era servo.

La nuova libertà promessa, invece, doveva essere "libertà dalla necessità", liberazione dalla costrizione delle circostanze che inevitabilmente limitano l'ambito delle scelte di tutti noi, seppure la limitano molto più per alcuni che per altri.

Prima che l'uomo potesse essere davvero libero, doveva essere spezzato il dispotismo del "bisogno fisico", bisognava allentare la presa dei "freni del sistema economico".

La libertà così intesa è, evidentemente, soltanto un altro nome del potere o della ricchezza.

Tuttavia, sebbene le promesse di questa nuova libertà venissero spesso accompagnate da irresponsabili a promesse circa un grande aumento, nella società socialista, della ricchezza materiale, non era da una simile completa vittoria sull'avarizia della natura che ci si attendeva la libertà economica.

Quello che la promessa stava davvero a significare era che dovessero scomparire le grandi disparità esistenti nella sfera delle possibilità di scelta della gente.

La richiesta della nuova libertà era, in tal modo, soltanto un altro nome della vecchia richiesta di un'eguale distribuzione della ricchezza.

Il nuovo nome dette, però, ai socialisti un'altra parola in comune con i liberali, ed essi la sfruttarono pienamente.

E sebbene la parola venisse usata in senso differente dai due gruppi, furono pochi ad accorgersene e ancor meno furono coloro che si chiesero se le due specie di libertà promesse potevano effettivamente venir combinate insieme.

Non c'è dubbio alcuno che la promessa di una più grande libertà si è trasformata in una delle armi più incisive della propaganda socialista, e non vi è dubbio che la fede che il socialismo porti alla libertà è autentica e sincera.

Ma tutto questo non farebbe che accrescere la tragedia, se si provasse che quella che ci fu promessa come la via della libertà era in realtà la via maestra della schiavitù.

È fuori discussione che la promessa di una maggiore libertà fu responsabile del fatto per cui i liberali, in sempre maggior numero, furono indotti ad incamminarsi sulla via socialista.

Fu proprio la promessa di una maggiore libertà che li rese ciechi davanti al conflitto esistente fra i principi fondamentali del socialismo e quelli del liberalismo, e che spesso rese possibile ai socialisti di usurpare il nome vero e proprio del vecchio partito della libertà.

La maggior parte dell'intellighenzia abbracciò Il socialismo quale erede legittimo della tradizione liberale; di conseguenza non è affatto sorprendente che ad essa appaia inconcepibile l'idea che il socialismo conduca all'opposto della libertà.

Negli ultimi anni, tuttavia, le vecchie paure per le conseguenze impreviste del socialismo hanno di nuovo suscitato alte grida d'allarme provenienti dalle parti più inaspettate.

Un osservatore dopo l'altro, nonostante l'aspettativa contraria con la quale avevano avvicinato l'argomento, sono rimasti impressionati dalla straordinaria somiglianza che, per molti aspetti, si ha nelle condizioni esistenti nel fascismo e nel comunismo.

Mentre in Inghilterra e in altre parti i progressisti si facevano ancora illusioni pensando che il comunismo e il fascismo rappresentassero poli opposti, sempre più persone cominciarono a chiedersi se queste nuove tirannie non costituissero in realtà il risultato delle stesse tendenze.

Persino i comunisti debbono essere stati abbastanza scossi da testimonianze come quella di Max Eastman, vecchio amico di Lenin, il quale si trovò costretto ad ammettere che "piuttosto di essere migliore, lo stalinismo è peggiore del fascismo, più spietato, più barbaro, più ingiusto, più immorale, più antidemocratico, non redimibile da una qualsiasi speranza o da un qualche scrupolo", e che "esso può meglio essere definito come superfascista".

E quando troviamo che lo stesso autore riconosce che "lo stalinismo è socialismo, nel senso che esso è un inevitabile, quantunque imprevisto, esito politico della nazionalizzazione e della collettivizzazione che esso ha fatto proprie quale parte del suo progetto per la costruzione di una società senza classi", la sua conclusione assume evidentemente un più ampio significato.



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