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68 - CONCORRENZA E PIANIFICAZIONE

da "La via della schiavitù", di Friedrich von Hayek, 1944, pag.79-82


La pianificazione deve molto della sua popolarità al fatto che tutti desiderano, ovviamente, che i nostri comuni problemi siano affrontati nel modo più razionale possibile e, nel far ciò, dovremmo usare tanta preveggenza quanta ce ne possiamo permettere.

In questo senso, ogni uomo che non sia un perfetto fatalista fa i suoi piani, ogni atto politico è (o dovrebbe essere) un piano e ci possono essere differenze solo tra piani buoni e cattivi, tra piani saggi e preveggenti e piani folli e di corte vedute.

Un economista, il cui compito consiste totalmente nello studio di come gli uomini pianificano o potrebbero pianificare i loro affari, è proprio l'ultima persona che potrebbe muovere obiezioni alla pianificazione intesa in questo senso generale.

Ma non è in questo senso che il termine viene usato dagli entusiasti di una società pianificata, né semplicemente nel senso che noi dobbiamo fare piani se vogliamo che la distribuzione del reddito e della ricchezza sia conforme ad un determinato specifico standard.

Secondo i moderni pianificatori e per i loro scopi, non è sufficiente delineare il più razionale e stabile quadro entro il quale le varie attività dovrebbero venire svolte da persone diverse, secondo i loro piani individuali.

Questo piano liberale, secondo loro, non è un piano; e infatti esso non è un piano inteso a soddisfare specifiche concezioni su chi debba avere e su che cosa debba avere.

Quello che i nostri pianificatori vogliono è una direzione centrale di tutte le attività economiche secondo un piano unico, il quale determini il modo in cui le risorse della società dovranno essere "consapevolmente dirette" per servire a particolari fini in una maniera stabilita.

La disputa tra i pianificatori moderni e i loro oppositori non è, dunque una disputa circa la scelta intelligente tra le varie possibili organizzazioni della società; non è una disputa dove si discute se noi dobbiamo impegnare preveggenza e ragionamento sistematico nel pianificare i nostri affari comuni.

Essa riguarda il modo migliore di farlo.

Il problema sta nel decidere se, a questo scopo, sia meglio che il detentore del potere coercitivo debba limitarsi, in generale, a creare condizioni nelle quali alla conoscenza e all'iniziativa dei singoli individui sia offerta la maggiore libertà d'azione, affinché questi possano fare piani che portino al maggior successo; oppure se un'utilizzazione razionale delle nostre risorse esiga una direzione centrale e un'organizzazione di tutte le nostre attività secondo un qualche piano intenzionalmente progettato.

I socialisti di tutti i partiti si sono appropriati del termine "pianificazione" intendendo la pianificazione di quest'ultimo tipo e il termine viene ora generalmente inteso in questo senso.

Ma sebbene con ciò si intenda suggerire che questo è il solo modo razionale di trattare i nostri affari, non per questo, ovviamente, noi abbiamo una dimostrazione della verità dell'idea dei socialisti.

Qui sta proprio il punto sul quale i pianificatori e i liberali sono in disaccordo.

È cosa importante non confondere l'opposizione contro questo tipo di pianificazione con un dogmatico atteggiamento di "laissez faire".

La tesi liberale è a favore della migliore utilizzazione possibile delle forze della concorrenza, quale mezzo per coordinare gli sforzi umani; non si tratta, dunque, di una tesi secondo cui si debbano lasciare le cose così come sono.

Essa si fonda sulla convinzione che là dove può essere creata una concorrenza efficace, questa, nei confronti di altre soluzioni, è la via migliore per indirizzare gli sforzi individuali.

Essa non nega, anzi sottolinea che, affinché la concorrenza funzioni in modo da arrecare benefici, è necessario un quadro legislativo pensato con cura, e che nè le leggi attuali nè quelle del passato sono esenti da gravi difetti.

Nè essa nega che dove è impossibile creare le condizioni necessarie per rendere la concorrenza efficace, dobbiamo ricorrere ad altri mezzi per guidare l'attività economica.

Il liberalismo economico si oppone, comunque, a che la concorrenza venga sostituita da altri metodi, ad essa inferiori, di coordinazione degli sforzi umani.

Ed esso considera la concorrenza come superiore, non solo perché nella maggioranza dei casi essa costituisce il metodo più efficace che noi conosciamo, ma ancor più perché essa è l'unico metodo tramite il quale le nostre attività possono essere adattate l'una all'altra senza intervento coercitivo o arbitrario dell'autorità.

In realtà, uno dei principali argomenti a favore della concorrenza è che essa elimina la necessità di un "controllo sociale intenzionale", e che dà agli individui la possibilità di decidere se le prospettive di una determinata attività sono sufficienti a compensare gli svantaggi e i rischi che essa comporta.

L'uso efficace della concorrenza, quale principio di organizzazione sociale, preclude certi tipi di interferenza coercitiva sulla vita economica, ma ne ammette altri che talvolta possono, in maniera davvero considerevole, aiutare il suo funzionamento e richiede perfino determinati tipi di azione governativa.

Ma c'è una buona ragione per la quale si è particolarmente insistito sui requisiti negativi, cioè sui punti nei quali la coercizione non deve venire usata.

È necessario innanzitutto che tutti, sul mercato, siano liberi di vendere o comprare a quel prezzo per il quale possono trovare un partner per la transazione; e che ognuno sia libero di produrre, vendere o comprare qualsiasi cosa possa venire prodotta o venduta.

Ed è essenziale che l'accesso a qualsiasi attività economica sia aperto a tutti alle medesime condizioni, e che la legge non tolleri nessun tentativo da parte di individui o di gruppi di limitare tale accesso con la forza, palese o larvata.

Qualsiasi tentativo di controllare prezzo o quantità di determinati beni depriva la concorrenza nel suo potere di stabilire una coordinazione efficace degli sforzi individuali, poiché in quel caso le variazioni dei prezzi cessano di registrare i mutamenti delle circostanze e non offrono più una guida affidabile all'azione degli individui.


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