da “Socialismo”, di Ludwig von Mises, 1922, pag.77-80
Ogni tipo di proprietà deriva dall’occupazione e dalla violenza.
Allorché consideriamo le componenti naturali dei beni, escluse le componenti dovute al lavoro, e quando andiamo alla ricerca dell’originario titolo legale, dobbiamo necessariamente arrivare a un punto in cui il titolo stesso è prodotto dall’appropriazione di beni accessibili a tutti.
Fuori di ciò, possiamo trovare un’espropriazione imposta con la forza, il cui possesso può a sua volta condurre a un ulteriore espropriazione o ad un furto.
Possiamo liberamente concedere a coloro che si oppongono alla proprietà mediante considerazioni giusnaturalistiche che ogni diritto derivi dalla violenza e tutte le proprietà da furti o appropriazioni.
Ma ciò non prova minimamente che l’abolizione della proprietà sia necessaria, opportuna o moralmente giustificata.
La proprietà naturale non ha bisogno del riconoscimento da parte degli altri.
È di fatto tollerata solo fino a quando non interviene un potere in grado di capovolgerla, e cessa di esistere nel momento in cui prevale un uomo più forte. Creata da una forza arbitraria, deve sempre temere una forza più potente.
È questa è la situazione che la dottrina del diritto naturale ha configurato come la guerra di tutti contro tutti.
La guerra finisce allorché il rapporto di fatto viene riconosciuto come meritevole di essere tutelato.
Dalla violenza emerge il diritto.
……….
L’attività economica richiede condizioni stabili.
L’esteso e lungo processo di produzione consegue maggior successo allorché più ampi sono i periodi di tempo a cui adattarsi.
Richiede continuità, e questa continuità non può essere disturbata senza causare le più gravi conseguenze. Ciò vuol dire che la vita economica ha bisogno della pace, che è l’eliminazione della violenza.
La pace, dice il razionalista, è il fine e lo scopo di tutte le istituzioni legali; ma noi affermiamo che la pace è un loro risultato, una loro funzione.
Stando ancora al razionalista, il diritto emerge dal contratto: noi sosteniamo che il diritto è un adattamento, la fine della lotta, l’eliminazione del conflitto.
La violenza e la legge, la guerra e la pace, sono quindi due poli della vita sociale; ma il loro contenuto è l’attività economica.
Tutta la violenza è rivolta alla proprietà altrui.
La persona - cioè a dire la vita e la salute - è oggetto di aggressione solo nella misura in cui si oppone all’acquisizione della proprietà da parte di altri (gli eccessi sadici, i fatti cruenti posti in essere esclusivamente per crudeltà sono eventi eccezionali. Per prevenirli, non serve un intero sistema legale. Il medico, e non il giudice, è oggi considerato loro antagonista).
Non è pertanto un caso che è proprio nella difesa della proprietà che il diritto riveli più chiaramente la sua funzione di pacificazione sociale.
Nel doppio sistema di tutela accordato a chi ha dei beni, nella distinzione tra proprietà e possesso, si vede più chiaramente la natura della legge come creatrice di pace - si, creatrice di pace a ogni costo.
Il possesso è tutelato anche se non è, come affermano i giuristi, un titolo.
Non solo i possessori onesti, ma pure quelli disonesti, anche i ladri e gli scippatori, possono chiedere la tutela del loro possesso.
Alcuni credono che la proprietà, così com’è distribuita in un dato momento, possa essere messa in discussione mostrando che è sorta illegalmente tramite l’acquisizione arbitraria e il furto violento.
Secondo tale punto di vista, tutti i diritti legali non sono altro che illegalità onorate dal tempo.
In tal modo, visto che entra in conflitto con l’eterna, immutabile idea di giustizia, l’ordine legale esistente deve essere abolito e al suo posto bisogna metterne un altro che sia conforme a quell’idea.
Compito dello Stato non dovrebbe essere solo quello di “limitarsi a far rispettare, senza indagare sulla situazione legale dell’acquisizione, la condizione proprietaria in cui si trovano i cittadini“.
La missione dello Stato dovrebbe invece consistere anzitutto nel dare “a ciascuno il proprio, collocarlo nella sua proprietà, e solamente dopo tutelarne la posizione“.
In tal caso, o si postula l’esistenza di un’idea di giustizia eternamente valida, che è dovere dello Stato riconoscere e realizzare, oppure bisogna trovare, in completa sintonia con la teoria contrattualistica, l’origine del vero diritto nel contratto sociale, che può scaturire esclusivamente da un accordo unanime di tutti gli individui, i quali si privano così di una parte dei loro diritti naturali.
Alla base di entrambe le ipotesi, c’è l’idea naturalistica secondo cui “il diritto è nato con noi”.
Dobbiamo comportarci di conseguenza, dice la prima; dobbiamo limitare le nostre pretese, attenerci alle condizioni del contratto, da cui deriva il sistema legale esistente, afferma la seconda.
Quanto alla fonte della giustizia assoluta, viene spiegata in modi diversi.
Stando a un punto di vista, è il dono della provvidenza all’umanità.
Stando all’altro, essa è stata creata dall’uomo con la propria ragione.
Entrambe si trovano d’accordo sul fatto che la capacità dell’uomo di distinguere tra giustizia e ingiustizia è esattamente ciò che lo fa diverso dagli animali; e questa è la sua “natura morale“.
Non possiamo accettare oggi questi punti di vista, poiché le premesse con cui ci misuriamo col problema sono cambiate.
L’idea di una natura umana fondamentalmente diversa dalla natura di altre creature viventi è per noi in verità strana; non pensiamo più all’uomo come un essere nutrito fin dall’inizio da un’idea di giustizia.
Se forse non possiamo dare risposta alla domanda di come il diritto sia nato, dobbiamo tuttavia rendere chiaro che esso non è nato legalmente.
Il diritto non può essere nato dal diritto.
Le sue origini vanno oltre la sfera legale. Quando lamentiamo che il diritto non è niente di più e niente meno che l’ingiustizia legalizzata, non ci rendiamo conto che avrebbe potuto essere diversamente solo se esso fosse esistito dall’inizio.
Se invece si ritiene che esso sia nato in un certo momento, tutto ciò che in quell’istante è divenuto diritto non avrebbe potuto esserlo prima.
Chiedere una nascita legale del diritto è chiedere l’impossibile.
Chiunque lo faccia, applica a qualcosa che sta fuori dell’ordine legale un concetto valido solamente all’interno di esso.
Noi che vediamo solo gli effetti del diritto, vale a dire la creazione della pace, dobbiamo comprendere che l’ordine legale non sarebbe potuto nascere se non attraverso il riconoscimento di uno stato di cose esistente, comunque sorto.
Tentativi di fare altrimenti avrebbero rinnovato e perpetuato la lotta.
La pace si afferma solo se si rende sicuro, sottraendolo ai disordini violenti, lo stato di cose esistente in un determinato momento e si fa dipendere ogni cambiamento futuro dal consenso degli individui coinvolti.
È questo il vero significato della tutela dei diritti acquisiti, che costituisce il nucleo centrale di tutto il diritto.
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