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90 - DALLA REDISTRIBUZIONE ALLA PROPRIETÀ COLLETTIVA DEI MEZZI DI PRODUZIONE

da “Socialismo”, di Ludwig von Mises, 1922, pag.84-86


Che siano nati da considerazione di utilità sociale o di giustizia sociale, i primi tentativi di riformare il possesso e la proprietà possono essere propriamente giudicati come dei tentativi di raggiungere la massima uguaglianza possibile nella distribuzione delle ricchezze.

Tutti avrebbero dovuto avere una certa quantità minima di beni, nessuno più di una certa quantità massima.

Tutti avrebbero dovuto possedere all’incirca il medesimo ammontare di beni - era questo, grosso modo, lo scopo.

I mezzi attraverso cui raggiungere tale fine sono stati sempre gli stessi.

È stata usualmente proposta la confisca di tutta o di una una parte della proprietà privata, provvedimento a cui avrebbe dovuto seguire la redistribuzione.

Un mondo popolato solo da agricoltori autonomi, con al più qualche artigiano - era quella la società ideale per la quale lottare.

Oggi non dobbiamo però preoccuparci di tutte queste proposte.

In un’economia basata sulla divisione del lavoro, esse sono impraticabili.

Una ferrovia, un laminatoio, una fabbrica di macchinari non possono essere distribuiti.

Se queste idee fossero state applicate centinaia o migliaia di anni fa, saremmo ancora allo stesso livello di sviluppo economico di allora - a meno di non essere ovviamente ricaduti in uno stato difficilmente distinguibile da quello dei bruti.

La terra sarebbe in grado di nutrire solamente una piccola frazione delle moltitudini che nutre oggi, e ciascuno sarebbe molto meno adeguatamente provvisto di quanto lo sia, anche meno del più povero membro di una società industriale.

Tutta la nostra civiltà si basa sul fatto che siamo sempre riusciti a sconfiggere gli attacchi dei redistributori.

Ma l’idea della redistribuzione gode ancora di grande popolarità, perfino nei paesi industriali.

Nelle nazioni dove tuttora domina l’agricoltura, tale dottrina prende il nome, non molto appropriato, di socialismo agrario, ed è il fine unico ed esclusivo di tutti i movimenti di riforma sociale.

Il socialismo agrario è stato la più potente forza della grande rivoluzione russa, che ha temporaneamente trasformato, contro la loro volontà, i capi rivoluzionari, marxisti nati, in protagonisti del suo ideale.

Può trionfare nel resto del mondo e in poco tempo distruggere una cultura che è stata costruita con i sacrifici di millenni?

Su ciò, ripetiamolo, una sola parola di critica è superflua.

Le opinioni sull’argomento non sono contrastanti.

Non è per nulla oggi necessario dimostrare che è impossibile basare su un “comunismo della casa e della terra” una società capace di sostenere centinaia di milioni di uomini della razza bianca.

Un ideale sociale nuovo ha però da lungo tempo preso il posto del fanatismo ingenuo dell’uguaglianza distributiva, e ora lo slogan del socialismo non è la distribuzione, ma la proprietà comune.

Abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione, fare dei mezzi di produzione una proprietà collettiva, è questo lo scopo unico del socialismo.

Nella sua forma più forte e più pura, l’idea socialista non ha più niente in comune con l’idea della redistribuzione.

È ugualmente lontana dal concetto nebuloso del possesso collettivo dei beni di consumo.

Il suo scopo è rendere possibile per tutti un’esistenza adeguata.

Ma essa non è così ingenua da credere che ciò possa essere conseguito tramite la distruzione del sistema sociale basato sulla divisione del lavoro.

È vero, l’avversione nei confronti del mercato, che caratterizzava gli entusiasti della redistribuzione, sopravvive; ma il socialismo cerca di abolire la produzione capitalistica in modi alternativi rispetto alla soppressione della divisione del lavoro; non intende tornare all’autarchia dell’economia domestica o alla semplice organizzazione di scambio del distretto agricolo autosufficiente.

Una tale idea non sarebbe potuta nascere prima che la proprietà privata dei mezzi di produzione assumesse la centralità che possiede nella società basata sulla divisione del lavoro.

Prima che l’idea della proprietà comune dei mezzi di produzione possa assumere una forma compiuta, l’interrelazione fra unità produttive separate deve raggiungere il punto in cui la produzione su domanda esterna sia la regola.

Se la filosofia liberale non avesse rivelato il carattere sociale della produzione, il programma socialista non sarebbe potuto essere del tutto chiaro.

In tal senso, e solo in tal senso, il socialismo può essere considerato una conseguenza della filosofia liberale.

Ora, quale che sia il nostro punto di vista sulla sua utilità e praticabilità, bisogna ammettere che l’idea del socialismo è allo stesso tempo semplice e grandiosa.

Il che, dopo un esame dettagliato, non può essere negato nemmeno dai suoi oppositori più severi.

Dobbiamo in effetti dire che si tratta di una delle creazioni più ambiziose della natura umana.

Il tentativo di edificare una società su una base nuova, rompendo con tutte le forme tradizionali di organizzazione sociale, per formulare un piano mondiale e prevedere lo svolgimento futuro di tutte le faccende umane - ciò è così magnifico, così temerario che ha giustamente suscitato una grande ammirazione.

Se desideriamo salvare il mondo dalla barbarie, dobbiamo sconfiggere il socialismo, ma non possiamo con superficialità ignorarlo.

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