da “L’etica della libertà”, di Murray N. Rothbard, 1982, pag. 19-24
Tra gli intellettuali che si piccano di avere una formazione “scientifica“, l’espressione “natura umana“ è destinata ad avere lo stesso effetto di un drappo rosso sventolato davanti a un toro.
“L’uomo non ha alcuna natura!“ è il moderno grido di battaglia.
È indicativo del modo di pensare dei filosofi politici odierni il fatto che, qualche anno fa, un noto teorico politico abbia asserito in un incontro della American Political Science Association che “la natura umana“ è un concetto puramente teologico, che dovrebbe essere bandito da qualsiasi discussione scientifica.
Le parti contrapposte nel dibattito sulla natura umana e sul più ampio e controverso concetto di “diritto naturale“ hanno entrambe ripetutamente proclamato che diritto naturale e teologia sono indissolubilmente intrecciati.
Di conseguenza, in ambienti scientifici o filosofici, molti sostenitori del Giusnaturalismo hanno gravemente indebolito la propria posizione, accettando la premessa che i metodi razionali e filosofici non possono da soli stabilire cosa sia il diritto naturale e che quindi il fondamento di tale concetto sarebbe necessariamente di natura teologica.
Dall’altra parte, gli avversari del diritto naturale sono stati lietissimi di convenire su ciò; se infatti, per sostenere la propria preferenza per il diritto naturale, è necessario aver fede nel soprannaturale, ne conseguirà che tale concetto deve essere abbandonato, nel discorso scientifico e laico, per essere consegnato alla arcana sfera degli studi teologici.
Quindi, l’idea di un diritto naturale fondato sulla ragione e sull’indagine razionale è andata virtualmente perduta.
Chi crede nel diritto naturale fondato sulla ragione deve quindi affrontare l’ostilità di entrambi i campi: di un primo gruppo, che in questa posizione ravvisa un certo antagonismo nei confronti della religione, e di un secondo gruppo che ritiene che in questo modo Dio e il misticismo, cacciati dalla porta, rientrino dalla finestra.
I primi rispecchiano una posizione agostiniana estrema, che ritiene la fede e non la ragione l’unico strumento legittimo per indagare la natura umana e gli scopi corretti dell’uomo.
In poche parole, in questa tradizione fideistica la teologia ha completamente spodestato la filosofia.
La tradizione tomista sostiene l’esatto contrario, difendendo l’indipendenza della filosofia dalla teologia e proclamando la capacità della ragione umana di comprendere e di scoprire le leggi, fisiche ed etiche, dell’ordine naturale.
Se credere in un ordine sistematico delle leggi naturali, suscettibile di essere scoperto dalla ragione umana, è di per sé antireligioso, allora erano antireligiosi anche San Tommaso d’Aquino e gli altri scolastici, per non parlare del devoto protestante Ugo Grozio.
L’affermazione che esiste un ordine di leggi naturali, in breve, non risponde alla domanda se tale ordine sia stato creato da Dio, e l’asserzione della capacità della ragione umana di scoprire l’ordine naturale lascia aperta la questione se sia stato Dio colui che ha concesso la ragione all’uomo.
L’affermazione che esiste un ordine di leggi naturali che la ragione può scoprire, di per sé, non è né pro né antireligiosa.
Giacché oggigiorno questa proposizione può stupire, esaminiamo più a fondo la posizione tomistica.
L’affermazione dell’assoluta indipendenza del diritto naturale dalla questione dell’esistenza di Dio era stata asserita implicitamente dallo stesso San Tommaso.
Ma, come per molte altre proposizioni implicite del tomismo, essa fu approfondita da Suárez ed altri brillanti scolastici spagnoli della fine del XVI secolo.
Il gesuita Suárez rilevò che molti scolastici erano convinti che la legge morale naturale, che afferma che cosa è bene e che cosa è male per l’uomo, non dipendesse dalla volontà di Dio.
In effetti, alcuni scolastici erano arrivati al punto di affermare:
“ Quand’anche Dio non esistesse, o non avesse fatto uso della sua ragione, o non avesse ben giudicato, se esiste nell’uomo un dettato della giusta ragione per guidarlo, esso avrebbe avuto la stessa natura di legge che ha attualmente “.
Ovvero, come afferma un moderno tomista:
“ Se il termine “naturale” ha un significato, questo è in relazione alla natura dell’uomo e, usato in associazione con “diritto”, “naturale” deve fare riferimento a un ordine che si manifesta nelle inclinazioni della natura umana e a nient’altro.
Di conseguenza, di per sé, il diritto naturale dell’Aquinate non ha alcuna connotazione religiosa o teologica.“
Il giurista protestante olandese Ugo Grozio dichiarò nel suo De iure belli ac pacis (1625):
“Tutto ciò che abbiamo detto finora sussisterebbe in qualche modo ugualmente anche se ammettessimo - cosa che non può farsi senza empietà gravissima - che Dio non esistesse“.
E più oltre:
“Per quanto infinito sia il potere di Dio, nondimeno può dirsi che vi sono certe cose sulle quali quel potere non si estende.
Come nemmeno Dio può far sì che due volte due non sia uguale a quattro, così Egli non può far sì che ciò che è intrinsecamente male non sia male”.
D’Entrèves conclude che:
“In se stessa, tale definizione (quella di diritto naturale data da Grozio) non ha niente di rivoluzionario.
Quando Grozio sostiene che il diritto naturale è quel complesso di norme che l’uomo riesce a scoprire con l’uso della ragione, non fa altro che riesporre la nozione scolastica di un fondamento razionale dell’etica.
In verità, il suo scopo è piuttosto quello di restaurare quella nozione che era stata scossa dall’agostinismo estremista di certe correnti di pensiero protestanti.
Quando egli dichiara che quelle norme sono valide di per sé stesse, indipendentemente dal fatto che Dio le abbia volute o no, egli ripete un’affermazione che era già stata fatta da alcuni scolastici”.
….
Quindi, una cosa deve essere chiara: nella tradizione tomistica il diritto naturale è legge tanto etica quanto fisica, e lo strumento tramite il quale l’uomo apprende tale legge è la propria ragione, non la fede, l’intuizione, la grazia, la rivelazione o altro. Nell’atmosfera contemporanea di netta dicotomia tra diritto naturale e ragione - e considerando in particolare le propensioni irrazionalistiche del pensiero “conservatore“ - questo punto non sarà mai rimarcato abbastanza.
Quindi, per usare le parole di Padre Copleston, l’eminente storico della filosofia, San Tommaso “pone in evidenza il posto e la funzione della ragione nella condotta morale. Egli condivideva con Aristotele l’idea che il possesso della ragione distingue l’uomo dagli animali e gli permette di agire deliberatamente per raggiungere un fine consapevolmente adottato e lo innalza al di sopra del comportamento puramente istintuale”.
L’Aquinate, quindi, capiva che gli uomini agiscono sempre per uno scopo, ma andava oltre, sostenendo che la ragione può anche valutare se gli scopi siano obiettivamente buoni o cattivi per l’uomo.
Per usare di nuovo le parole di Copleston, per l’Aquinate “vi è dunque spazio per il concetto di “giusta ragione“, la ragione che dirige le azioni umane verso il raggiungimento di ciò che è obiettivamente buono per l’uomo“.
Pertanto, la condotta morale in accordo con la giusta ragione è possibile: “Se si afferma che la condotta morale è condotta razionale, quello che si vuole dire è che si tratta di una condotta in accordo con la giusta ragione nella quale la ragione valuta quale sia il bene oggettivo per l’uomo e determina i mezzi per raggiungerlo”.
Nella filosofia del diritto naturale, quindi, la ragione non è destinata, come avviene nella moderna filosofia successiva a Hume, ad essere semplicemente schiava delle passioni, limitandosi a scoprire i mezzi per raggiungere fini scelti arbitrariamente.
Infatti gli stessi fini sono scelti tramite l’uso della ragione e la “giusta ragione“ impone all’uomo i giusti fini e i mezzi per ottenerli.
Per il tomista o il giusnaturalista, la legge generale della moralità per l’uomo è un caso particolare del sistema di diritto naturale che governa tutte le entità del mondo, ciascuna con la propria natura e i propri fini.
“Per lui, la legge morale è un caso particolare dei principi generali secondo i quali tutte le cose finite progrediscono verso i propri scopi attraverso lo sviluppo delle proprie potenzialità“.
Qui scopriamo una differenza fondamentale tra gli oggetti inanimati, o anche le creature viventi non umane, e l’umanità; infatti le prime sono obbligate a procedere in accordo con i fini dettati dalle loro nature, mentre l’uomo, “l’animale razionale“, possiede la ragione per scoprire quei fini e la libera volontà per scegliere.
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